martedì, 16 settembre 2014, 18:59
di massimo benedetti
Anche la provincia di Massa Carrara vanta una situazione non proprio rosea, per quanto riguarda il delicato tema della violenza di genere. Per avere dati precisi e comprendere l’attuale situazione su un tema così importante, siamo andati ad intervistare le responsabili dello Sportello Duna, che ha sede a Massa, ospitato nel retro dell’edificio del liceo classico Pellegrino Rossi. Lo sportello Duna, donne unite nell’anti violenza, si è insediato nella provincia di Massa Carrara ormai da diversi mesi. A gestirlo, l’associazione Arpa che, con l’ imprescindibile aiuto delle volontarie e delle operatrici, ne porta avanti la quotidiana presenza.
Dottoressa Anna Chiara Borrello, lei ha l’incarico di coordinatrice dello sportello, coadiuvata, oltre che da tutto il personale, dalle responsabili dottoressa Ilaria Tarabella e dall’avvocata Elisa Forfori: quale è stata finora la risposta da parte della comunità locale? Diffidenza o apertura?
Tutta quanta la comunità ci ha accolto bene, abbiamo instaurato un rapporto di amicizia e collaborazione con le istituzioni locali, le quali ci aiutano e ci supportano. Voglio ricordare che, al momento, tutto il nostro impegno è volontario e non remunerato, lo facciamo perché crediamo che sia un servizio importante per la nostra comunità, dal momento che non esisteva. Abbiamo scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora e sono sempre più le donne che si rivolgono a noi: questo significa che ci viene data fiducia e che abbiamo colmato, seppur parzialmente, un vuoto, nonostante lo spiacevole episodio, ad opera di ignoti, accaduto nei primi mesi dell’anno, quando imbrattarono la targa dello sportello con insulti sessisti.
Il vostro lavoro si svolge in stretto contatto con l’ausilio della polizia di stato e dei carabinieri. Può spiegarci, brevemente, quale sia la prassi normale per chi decida di compiere il passo di avvicinarsi allo sportello? I singoli step, insomma…
È vero: siamo riuscite ad instaurare un bel rapporto con polizia e carabinieri, oltre che con il servizio sociale del comune di Massa e gli ospedali limitrofi, cosa importantissima non solo per il radicamento sul territorio e la sinergia nello scambio di informazioni, ma anche proprio per gestire le emergenze. Per quanto riguarda la prassi, la maggior parte delle donne che abbiamo accolto ci sono state inviate proprio dalle forze dell’ordine e dalle istituzioni, o, altrimenti, è sufficiente chiamare il numero attivo 24 ore su 24 e prendere un appuntamento. Non abbiamo limiti territoriali ed infatti accogliamo donne non solo del comune di Massa, ma anche degli altri comuni della provincia, della regione ed abbiamo anche casi extra regionali. Il numero di cellulare serve anche per un primo ascolto, se la donna abbia bisogno di sfogarsi o se voglia raccontare qualcosa. Una volta preso l’appuntamento, viene a fare un colloquio individuale, non psicologico, in cui l’ascoltiamo, valutiamo il grado di rischio e, a seconda dei suoi desideri, la aiutiamo a decidere il percorso migliore per lei: quindi, consulenza legale, se ne ha bisogno e continuazione con i colloqui individuali di fuoriuscita dalla violenza, oppure una raccolta fatti per fare denuncia o integrarne una. Da questa settimana, iniziamo i gruppi di auto-aiuto, quindi un altro servizio, sempre assolutamente gratuito, per le donne.
Un po’ di numeri: quante donne si sono presentate presso Duna e, se può rivelarlo, a che punto sono nella fase dell’iter di ascolto alcuni casi.
In questo momento abbiamo in carico 36 donne per l’anno in corso più altre due del 2013 (in cui non avevamo una sede, se non quella dell’associazione e non eravamo conosciute). Sulla sua seconda domanda, dovrei prendere i casi specifici, perché ognuna ha una storia e un percorso diverso. Posso dirle che le donne che seguiamo da più tempo hanno fatto degli enormi passi in avanti e ne siamo molto orgogliose.
Quale lo stato attuale della violenza di genere nel comune di Massa? Il caso più eclatante che mi sovviene è la morte della povera Cristina Biagi, luglio 2013.
La nostra provincia è davvero piena di molti casi da questo punto di vista. C'è un alto tasso di violenza domestica e tanta omertà e, senza avere la possibilità di ospitare le donne che hanno necessità di uscire di casa, la situazione è molto complicata. Noi lavoriamo in costante contatto con le forze dell’ordine e i servizi sociali, in modo da dare a queste donne la possibilità concreta di uscire dalla casa dove si consuma quotidianamente la violenza. Queste donne, spesso, hanno con sé figlie o figli, piccoli, piccolissimi, a loro volta traumatizzati dalle violenze subite, perché le hanno viste, le hanno sentite. Quindi la necessità è duplice: aiutare la madre e aiutare i suoi figli. Abbiamo conosciuto alcune donne, in questi mesi, in situazioni molto gravi e a rischio di essere uccise e abbiamo dovuto agire in emergenza non senza difficoltà; quindi speriamo vivamente che non “serva” un’altra morte per risvegliare le coscienze, ma ci auguriamo che tutti e tutte capiscano l'importanza del nostro lavoro. A noi non piace agire secondo storie d’effetto, eclatanti. Ci piacerebbe, al contrario, che ci fosse una presa di coscienza collettiva, un vero e proprio cambiamento culturale, così che i nostri servizi diventino non necessari, affinchè nessuna donna ne abbia più bisogno.
Cosa rispondere a chi, ancora oggi, afferma che il femminicidio e la violenza di genere siano solo un “fenomeno mediatico” gonfiato ad arte dai mass media? Quali, eventualmente, le cause di tale presa di posizione?
Rispondo prima con una battuta: direi a costui o a costoro di venire ad ascoltare una sola di queste storie e poi dirmi ancora se sia un problema da mettere in secondo piano. Immagina di vivere, in casa tua, in costante paura, con la persona che ami che ti insulta per ogni cosa che fai: immagina di non poter uscire di casa, di non poter gestire i soldi, immagina di essere sempre costantemente controllato, osservato, denigrato, giudicato, percosso. Questa è la vita di una donna che vive con un uomo violento. E l’obiezione che anche le donne siano violente non ha cittadinanza in questa discussione, perché noi donne siamo cresciute in modo da dover essere brave madri e brave mogli. Ci hanno inculcato che il valore più grande è prendersi cura della famiglia, sopportare il marito, supportare i figli. Questa visione tradizionale, patriarcale, è talmente radicata in noi che ci diamo la colpa (e veniamo incolpate dai media) se non rispecchiamo questa visione “idilliaca”. Per cui perdoniamo, giustifichiamo, sopportiamo il marito o compagno violento. Abbiamo paura di dire qualcosa, di essere lasciate sole e messe alla gogna. Può essere un fenomeno gonfiato dai media se, già nel 2003, il Consiglio d’Europa ha dichiarato che la prima causa di morte, per le donne tra i 16 e i 44 anni, è la violenza domestica, in Europa e nel mondo? Non è il cancro al seno, l’infarto o un incidente. È essere uccisa da tuo marito, dal tuo compagno, dal padre dei tuoi (e suoi) figli. Sui motivi di tale presa di posizione, ovviamente, la cultura nella quale siamo immersi, misogina, sessista, maschilista. C’è una svalutazione nei confronti delle donne tale da rasentare l'odio. Veniamo considerate meno che umane, spesso solo oggetti, meno che titolari di diritti umani. Veniamo incolpate quando siamo le vittime, veniamo crocifisse per qualsiasi cosa facciamo, veniamo additate e mai difese o comprese. Sembra che, se noi donne pretendiamo dei diritti, gli uomini li perdano. È lo stesso ragionamento di chi nega i diritti sul lavoro a chi è precario, i diritti agli immigrati, ai richiedenti asilo; sembra quasi che ci sia spazio solo per un tot numero di persone, di esseri umani, che possono avere diritti e non si possano allargare. “Anche le donne sono esseri umani. I diritti delle donne sono diritti umani” – Conferenza Mondiale Onu sulle Donne, Pechino, 1995.
Quali i prossimi progetti per l’immediato futuro?
Abbiamo vinto, per il secondo anno di seguito, un progetto regionale e ad anno nuovo partirà un altro corso di formazione sul tema del contrasto alla violenza di genere per le nostre operatrici. In più, continueremo ad andare nelle scuole, perché crediamo moltissimo nella prevenzione, nel cambiamento di questa cultura, unica vera strada perché la violenza contro le donne diventi sempre più circoscritta, fino a sparire.