A.R.PA. è un ‘associazione di Promozione Sociale che nasce nel gennaio 2001 dall’incontro di un gruppo di donne impegnate nel contrasto alla violenza di genere, interessate all’approfondimento delle tematiche di genere e delle politiche delle pari opportunità.
Negli ultimi anni, in diversi contesti internazionali, lo Stato italiano
è stato oggetto di pressioni da parte delle Nazioni Unite per il suo
scarso ed inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei
confronti delle donne.
Ad oggi l’Italia è ancora del tutto
inottemperante rispetto agli standard e agli impegni internazionali,
FERMA IL FEMMINICIDO nasce per aumentare la consapevolezza della
cittadinanza, sensibilizzare i giovani sulla violenza di genere allo
scopo di contrastare il fenomeno del femminicidio che vede ogni due
giorni una donna uccisa per mano del proprio compagno, marito,
fidanzato…
PROGETTO
Il progetto prevede, oltre ad azioni di sensibilizzazione attraverso
una campagna di comunicazione sociale con la produzione e distribuzione
di materiale informativo e una campagna di web-marketing per la
diffusione in rete, azioni che riguarderanno soprattutto progetti di
educazione sentimentale, ovvero educazione al rispetto e alla
valorizzazione delle differenze e diversità sessuali, a partire dalla
scuola dell’infanzia.
AZIONI
- azioni di sensibilizzazione attraverso una campagna di comunicazione sociale
- produzione e distribuzione di materiale informativo
– campagna di web-marketing per la diffusione in rete
-
progetti, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, di educazione
sentimentale, ovvero educazione al rispetto e alla valorizzazione delle
differenze e diversità sessuali
- incontri presso gli istituti
scolastici di ogni ordine e grado per stimolare, con la collaborazione
del corpo docente, la realizzazione di attività didattiche sul tema
Aderire, adottando il progetto “Ferma il femminicidio”, è un’azione
di cittadinanza attiva che anche tu puoi fare. Bisogna stimolare tutte
le Istituzioni territoriali all’assunzione di una responsabilità diretta
rispetto alla violenza di genere: puoi fare molto, in modo semplice. Ad
esempio puoi stampare uno dei tanti supporti cartacei e diffonderlo nel
tuo territorio. O più semplicemente puoi promuovere il progetto
attraverso i social media, usando il badge o il banner-diario di
Facebook, invitando tutti i tuoi amici a fare lo stesso. Puoi
pubblicare sul tuo blog/sito il banner “Ferma il femminicidio” e
favorire la diffusione di una cultura diversa. Oppure partecipare,
realizzando e comunicandoci idee diverse e proposte alternative. Diventa
protagonista, agisci per il cambiamento.
Il femminicidio riguarda
la società civile tutta, riguarda anche te! Non possiamo accettare che
ogni due giorni una donna sia assassinata. Restare indifferenti rispetto
a tutto questo non è possibile, agire è indispensabile. Oggi.
Per aderire basta inviare una mail a questo indirizzo, aggiungendo il nome al testo precompilato:
nome
(di associazione, istituzione, azienda, gruppo o singolo cittadino)
aderisce al progetto “Ferma il Femminicidio” e si impegna a promuoverlo
con i mezzi e gli strumenti disponibili.
L'associazione nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re – Donne in Retelancia la petizione contro la violenza a cui abbiamo deciso come A.R.PA. di rispondere.
"L’appello e’ nato dopo il dramma che ha colpito Carmela, assassinata per aver voluto difendere la sorella da una aggressione.
Oggi apprendiamo dalla stampa che un’altra donna, Antonetta Paparo,
36 anni e’ morta per accoltellamento da parte del marito, reo confesso.
Naturalmente e’ morta per motivo passionale, secondo la stampa .
Abbiamo ripetuto fino allo sfinimento che la passione non uccide, ma ancora la leggiamo fra le cause/attenuanti degli omicidi.
Ricordiamo che ancora oggi non è stata ratificata la convenzione firmata ad Instanbul.
Non si puo’ più aspettare. Ogni giorno che passa senza prendere provvedimenti è un
giorno perso per attuare tutta una serie di interventi per fermare
questa escalation di violenza."
By DonneViola
Vi chiediamo di leggere l’appello e se ne condividete il contenuto potete firmare qui:
L’associazione nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, denuncia la 105^ vittima di femicidio in Italia dall’inizio del 2012 e lancia un appello: Carmela, morta a diciassette anni per difendere la sorella dalla
violenza dell’ex fidanzato, sia l’ultima vittima. La violenza sulle
donne non è una emergenza ma è un fenomeno strutturale di una societa’
che pone uomini e donne in una relazione di disparità. Lo denunciamo da
anni e non è più tollerabile che in un Paese che si definisce civile, le
violenze sulle donne e i femicidi avvengano nell’indifferenza della
società e della politica. Ci appelliamo al Governo italiano, al Parlamento e alla società
civile, affinché in tempi brevissimi sia ratificata nel nostro
ordinamento, la Convenzione del Consiglio d’Europa firmata ad Istanbul,
che vincola i Paesi aderenti ad azioni ed iniziative importanti di
contrasto alla violenza sulle donne, sia finalmente attuato il Piano
Nazionale Antiviolenza e si sostengano con finanziamenti adeguati, tutti
i centri antiviolenza aderenti alla Rete Nazionale. Le violenze sulle donne e i femicidi non sono un destino
inscritto nelle vite delle donne, ma sono cronache di morti annunciate
nel vuoto politico e nel silenzio di un Paese che sembra non avere più
coscienza.
I primi firmatari dell’appello: Riccardo Iacona e Serena Dandini"
Ho deciso, per aderire al Siria blogging day, di pubblicare l'articolo uscito su "Il Fatto quotidiano" perchè dice esattamente tutto quello che non sarei riuscita ad esprimere meglio e soprattutto riporta le parole di Aya Homsi, attivista italiana di origine siriana che subisce continue minacceper raccontare la crudeltà del regime di
Assad.
Ecco! Semplicemente lascio a questo articolo raccontare tutta la mia angoscia nei confronti di un occidente che si benda gli occhi di fronte al massacro di un popolo che vuole rivendicare la sua libertà, un'Europa a cui è appena stato consegnato il Nobel per la Pace che, mi permetto di dire, non meritiamo per questo e per tanti altri motivi!
L’11 novembre è il Siria blogging day. Una giornata organizzata daDonne Viola, Articolo 21, Sabrina Ancarola e l’illustratrice Stefania Spanò(sua è l'immagine in testa a questo post) in
occasione della quale si invita il mondo della rete a parlare della
Siria condividendo nei social network articoli, foto e riflessioni,
usando su twitter l’hashtag #SiriaICare.
In Siria, infatti, è in corso una guerra civile cominciata nel marzo
del 2011, sulla scia della Primavera araba. Da mesi si susseguono
violenti scontri tra polizia e manifestanti che vorrebbero spingere il
presidente Bashar al-Assad ad attuare le riforme
necessarie per fare diventare la Siria un Paese democratico. Finora,
secondo le stime dell’Onu, sono state uccise più di 35mila persone e ci
sono 1 milione e mezzo di sfollati. Altri sono rifugiati nei Paesi
vicini. Il Siria blogging day non è l’unica iniziativa in
programma nei prossimi giorni e dedicata alla situazione di questo Paese
martoriato. Il 16 novembre, infatti, una delegazione degli oltre mille
bambini delle scuole di Bologna e di Genova che hanno preso parte al progetto “I bambini dell’Italia e della Siria”
- durante il quale sono stati sensibilizzati sulla situazione siriana e
hanno scritto lettere ai loro coetanei – sarà ricevuta alla Farnesina
dal ministro degli Esteri Giulio Terzi. Il 17 novembre,
invece, a Bologna ci sarà una grande manifestazione, sempre con
protagonisti i bambini, in contemporanea con altre città nel mondo (in
Egitto, Usa, Creta, Canada, etc). Un modo per ricordare le bambine e i
bambini uccisi nelle stragi, gli orfani che vivono esposti al rischio di
stupro e di morte perché impiegati come scudi umani e quelli ridotti in
estrema povertà a causa delle guerra. La partenza della marcia è alle
14.30 da piazza Maggiore. Entrambe queste iniziative verranno realizzate grazie all’impegno di Aya Homsi, attivista italiana di origine siriana. Il gruppo Facebook “Vogliamo la Siria libera”
che ha creato più di un anno fa – con oltre 5mila iscritti – è
diventato il punto di riferimento per giornalisti, politici e
internauti. A causa del suo impegno Homsi continua a ricevere minacce di
morte e insulti dai sostenitori del dittatore Assad. “Dicono che devo
starmene a casa, che la politica non è per le donne. Ma io non ho paura:
questa è stata una mia scelta e voglio andare fino in fondo” racconta.
La sua è un’attività intensa. Homsi, infatti, sta anche 16 ore di fila
davanti al computer traducendo, organizzando manifestazioni e mettendosi
in contatto tramite Skype con i giovani rimasti in Siria. Poi
si collega con i gruppi di siriani nel mondo per fare girare video,
testimonianze e documenti “per raccontare la crudeltà del regime di
Assad”. E aiuta i giornalisti che vogliono entrare illegalmente nel
Paese. “Quel che mi lascia perplessa – spiega Homsi – non è tanto che in
Italia non si parli di Siria, o lo si faccia con il contagocce. Il vero
problema è che le istituzioni non condannano apertamente quello che sta
facendo il dittatore Assad. Mettono sullo stesso piano lui e i ribelli.
Ma questo è sbagliato. Sicuramente ci saranno delle infiltrazioni tra i
ribelli ma quello che stanno facendo è importante. Trovo incredibile
che ci siano onorevoli come Souad Sbai e parlamentari che cambiano idea
ogni tre giorni oppure un assessore, come quello al Comune di Varese (Stefano Clerici, Pdl), che è stato capace di scrivere su Facebook un messaggio di sostegno ad Assad”. “Ci
sono molti giornalisti volenterosi e coraggiosi che vanno e vengono
dalla Siria – continua Homsi – il problema è che in Italia quasi nessuno
vuole pubblicare i loro articoli. Perché, la risposta più frequente, è
che ‘la Siria non tira’. La verità è che all’Occidente la rivolta
siriana non piace. Assad ha sempre fatto comodo per mantenere
l’equilibrio tra gli interessi orientali e occidentali. L’Occidente
baciava le mani ai dittatori come lui. L’Italia avrebbe dovuto chiudere i
contatti con questo Paese. Invece, pur essendo l’ambasciata siriana in
Italia chiusa, l’ambasciatore è ancora qui anche se è considerato
‘persona non grata’”. Nonostante la grave assenza della politica, molti
italiani si stanno interessando individualmente alla questione siriana.
“Sono numerose le persone che partecipano alle nostre iniziative,
scrivono, si informano – dice Homsi. – Ci sono Comuni, come ad esempio San Lazzaro di Savena,
che è impegnato in prima linea per aiutare la popolazione siriana. E
poi ci sono anche alcuni politici che ci danno una mano. Sono pochi,
però si impegnano in prima persona. Sono esponenti del Pd, dei Radicali,
dell’Idv. E dico questo premettendo che la nostra attività di sostegno
al popolo siriano non ha nessuna bandiera politica. Noi accettiamo aiuti
da parte di tutti”.
L'Associazione A.R.PA. aderisce alla Convenzione nazionale contro la violenza maschile sulle donne - femminicidio.
Questa Convenzione è una proposta politica unitaria, aperta all’adesione e alla sottoscrizione di realtà nazionali, locali, e singole persone. La Convenzione invita le Istituzioni a un confronto aperto e chiede al governo di verificare l’efficacia del Piano Nazionale contro la violenza varato nel 2011, con revisione del Piano stesso insieme al coordinamento promotore della Convenzione.
Invitiamo tutte le persone, enti, associazioni, blog interessati ad aderire all'appello:
Consapevoli del grande impegno da affrontare, la Convenzione
· promuove a partire dalla settimana del 25 novembre una serie di incontri e mobilitazioni con le associazioni di donne e le realtà della società civile che hanno condiviso i contenuti e le richieste di questa proposta;
· invita le Istituzioni nazionali e locali a un confronto aperto, ad assumersi le proprie responsabilità, a porre in essere politiche adeguate e rispettose della dignità e dei diritti umani delle donne;
· chiede la ratifica immediata della Convenzione del Consiglio d'Europa (Istanbul 2011) sulla prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e della violenza domestica;
· e in particolare chiede al Presidente del Consiglio Mario Monti e ai suoi Ministri di incontrare le promotrici della Convenzione per discutere sulle proposte in materia di prevenzione, contrasto e protezione della violenza maschile sulle donne–femminicidio, ritenendo fondamentale l’attuazione di politiche immediate come indicato nella Convenzione proposta.
Alla luce delle proposte avanzate, chiediamo infine di verificare l’efficacia e l’attuazione del Piano di Nazionale contro la violenza varato dal governo nel 2011, e di predisporne una immediata ed efficace revisione con il contributo dei soggetti promotori della presente Convenzione.
Per info e adesioni: convenzioneantiviolenza@gmail.com - convenzioneantiviolenzanomore.blogspot.it
Torniamo purtroppo a parlare di PAS, ovvero dell'inesistente che crea danni permanenti sui minori e di uno stato che ne legittima gli abusi.
Non ci sono molte parole per commentare quanto è accaduto a Padova, è vergognoso.
I fatti parlano da soli e li potete vedere con i vostri occhi QUI
Lascio dunque le parole a chi ne ha scritto e studiato i perchè e le conseguenze:
Le controversie su questa sindrome inesistente
si svolgono in maniera accesa e secondo copioni che appartengono più ad
ambiti calcistici che scientifici.
Proposta alla comunità
scientifica dal Dr Gardner nel 1985 non è stata mai considerata come
patologia proprio per la mancanza nel suo costrutto di serie basi
logiche e scientifiche (Bruch, 2002 ). 1. Sul Dr Gardner vanno smentite
alcune mistificazioni: non era né
psicologo né psichiatra 2. non era docente universitario ma solo un
volontario non retribuito alla Columbia University di New York 3. la
Columbia University, dopo che Gardner propose il concetto di PAS, prese
le distanze dalle sue teorie ed egli andò gradualmente trasformandosi in
un “autentic american monster” 4.La teoria della PAS è stata
oggetto di analisi nel lontano 2003 da parte dell’Istituto di Ricerca
dei Procuratori Americani (American Prosecutors Research Institute) che
l’hanno definita come “una teoria non verificata che, se
non
contestata, può provocare conseguenze a lungo termine per il bambino che
cerca protezione e rivendicazione legale nei tribunali”
5. e “una teoria
non dimostrata in grado di minacciare l’integrità del sistema di
giustizia penale e la sicurezza dei bambini vittime di abusi”
6.Più di recente, nel marzo 2010, si sono pronunciati contro la PAS gli
psichiatri dell’Associazione Spagnola di Neuropsichiatria definendola
senza mezzi termini “un castello in aria”
7. e consigliando a tutti i
loro associati di non farne uso né in ambito clinico né in ambito
giudiziario. 8.Più volte nei suoi scritti Gardner ha espresso opinioni favorevoli alla
pedofilia, da lui mai smentite; tali opinioni di Gardner rappresentano
il manifesto di organizzazioni internazionali che sostengono la
pedofilia
9.Desta sconcerto, pertanto, che una inesistente
malattia, non classificata tra le patologie riconosciute dalla comunità
scientifica internazionale, per di più proveniente da un background
filo-pedofilo, venga utilizzata nei Tribunali come prova per sentenze di
affidamento dei minori, in spregio alle regole del Diritto che vogliono
invece nei Tribunali solo malattie riconosciute ufficialmente (es.
cause di non imputabilità nel penale, o nel civile cause di invalidità
lavorativa, risarcimento del danno biologico, ecc).
da " L’INESISTENTE
SINDROME DI ALIENAZIONE GENITORIALE" del Dr Andrea Mazzeo
Va bene, pare che tutto il mondo “intellettuale” italiano, con tutto il
milieu giornalistico in prima fila, compatto e granitico, sia in grandi
ambasce per il rischio che Alessandro Sallusti, oggi direttore de Il
Giornale e al tempo dei fatti di Libero, finisca in galera a seguito di
una condanna per diffamazione. E’ confortante assistere a una così
poderosa levata di scudi contro la restrizione della libertà personale, e
dispiace semmai che tanta compattezza non si veda in altre occasioni.
Tanta gente va in galera per leggi assurde e ingiuste – come circa
tremila persone accusate del bizzarro reato di “clandestinità” – eppure
la notizia è Sallusti. Bene, allora vediamola bene, questa notizia, al
di là delle sentenze, delle polemiche, dei meccanismi della giustizia.
Proviamo insomma ad applicare il vecchio caro concetto del “vero o
falso?” Il fatto. Nel febbraio del 2007 una ragazzina di Torino
(13 anni) si accorge di essere incinta. I genitori sono separati. La
ragazzina (che tra l’altro ha problemi di alcol ed ecstasy) vuole
abortire, ha il consenso della madre, ma non vorrebbe dirlo al padre (i
genitori sono separati). Per questo si rivolge alla magistratura. E’
quanto prevede la legge: mancando il consenso del padre si è dovuto
chiedere a un giudice tutelare, che ha dato alla ragazzina (e alla
madre, ovviamente) il permesso di prendere una decisione in totale
autonomia. Come del resto precisato in seguito, a polemica scoppiata, da
una nota dettata alle agenzie dal Tribunale di Torino: “Non c’è stata
alcuna imposizione da parte della magistratura”. L’articolo
querelato. Strano che, in tutto il bailamme suscitato dal rischio che
Sallusti finisca in carcere, nessuno si sia preso la briga di
ripubblicare l’articolo incriminato. Anche in rete si fatica a trovare
la versione completa, anche se basta scartabellare un po’ nella rassegna
stampa della Camera dei Deputati per trovarlo (andate qui e
leggetevelo: http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=DHQW1).
L’articolo (Libero, 18 febbraio 2007) è firmato con lo pseudonimo di
Dreyfus (quando si dice la modestia) e racconta la vicenda in altri
termini. La prosa maleodorante e vergognosa – un cocktail di mistica
ultracattolica e retorica fascista – non è suscettibile di querela e
quindi ognuno la valuti come vuole. Ma veniamo ai fatti. La vulgata
corrente di questi giorni insiste molto su una frase, questa:
“… ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una
circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il
giudice” E’ vero. Si tratta di un’opinione. Scema, ma un’opinione. Disgustosa, ma un’opinione. Vediamo invece le frasi che non contengono opinioni ma fatti. Falsi. Il titolo, per esempio: “Il giudice ordina l’aborto / La legge più forte della vita”. Falso. Nessun giudice ha ordinato di abortire.
Altra frase: “Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha
applicato il diritto – il diritto! – decretando l’aborto coattivo”. Falso. Il giudice ha dato libertà di scelta alla ragazzina e alla madre.
Ancora: “Si sentiva mamma. Era una mamma. Niente. Kaput. Per ordine di
padre, madre, medico e giudice, per una volta alleati e concordi”.
Falso. Il padre non sapeva (proprio per questo ci si è rivolti al
giudice) e le firme del consenso all’aborto sono due, quella della
figlia e quella della madre. E poi: “Che la medicina e la magistratura siano complici ci lascia sgomenti”. Falso. Complici di cosa? Di aver lasciato libera decisione alla ragazza e a sua madre?
Ora, sarebbe bello chiedere lumi anche a Dreyfus, l’autore
dell’articolo. Si dice (illazione giornalistica) che si tratti di Renato
Farina, il famoso agente Betulla stipendiato dai Servizi Segreti che –
radiato dall’Ordine dei Giornalisti – non avrebbe nemmeno potuto
scrivere su un giornale il suo pezzo pieno di falsità. Non c’è
dubbio che il caso della ragazzina torinese sia servito al misterioso
Dreyfus, a Libero e al suo direttore Sallusti per soffiare quel vento
mefitico di scandalo che preme costantemente per restringere le maglie
della legge 194, per attaccare un diritto acquisito, per gettare fango
in un ingranaggio già delicatissimo. Ma questo è, diciamo così, lo
sporco lavoro della malafede, non condannabile per legge.
Condannabile per legge è, invece, scrivere e stampare notizie false. Di
questo si sta parlando (anzi, purtroppo non se ne sta parlando), mentre
si blatera di “reato d’opinione”. Il reato d’opinione non
c’entra niente. C’entra, invece, e molto, un giornalismo sciatto, fatto
male, truffaldino, che dà notizie false per sostenere una sua tesi.
Per questo la galera vi sembra troppo? Può essere. Ma per favore, ci
vengano risparmiati ulteriori piagnistei sul povero giornalista Sallusti
che non può dire la sua. PS) Un mio vecchio maestro di
giornalismo, all’Unità (sono passati secoli, ma io gli voglio ancora
bene), scrutava i pezzi scritti da noi ragazzini con maniacale
attenzione. Quando trovava qualcosa di querelabile ci chiamava e ci
diceva: “Vuoi che ci portino via le rotative? Vuoi che ci facciano
chiudere il giornale dei lavoratori?”. Nel fondo di oggi su Il
Giornale, Sallusti lamenta con toni da dissidente minacciato di Gulag,
che non intende trattare per il ritiro della querela, che ha già pagato
30.000 euro e non vuole pagarne altri 30.000. Spiccioli. Ecco. Forse
“portargli via le rotative”, come diceva il mio vecchio compagno sarebbe
meglio. Meglio anche della galera. Di molte cose abbiamo bisogno, ma
non di un martire della libertà con la faccia di Sallusti.
Donne e uomini del Parlamento, donne e uomini dei partiti della società questa è una vera e propria strage, crudele, misogina:
impegniamoci tutti a fermarla, ognuno per la propria responsabilità.
Non possiamo più fare finta che non accada niente nel nostro Paese!
Voi
avete una responsabilità in più, voi non potete stare a guardare. Questo
GruppoDONNE E UOMINI DEL PARLAMENTO FERMATE IL FEMMINICIDIO invierà i nomi dei suoi componenti alla Presidenza di Camera e
Senato oltre al Presidente della Repubblica.
Lo Stato italiano non può
tollerare questa mattanza.
Le leggi ci sono, ma evidentemente NON sono
adeguate e la lotta delle tante associazioni non è sufficiente né
adeguatamente SOSTENUTA.
I componenti e le componenti questo gruppo,
UOMINI E DONNE, vi CHIEDONO di FARE QUALCOSA SUBITO. Hanno scritto
queste righe di appello Luisa e Daniela, me è come se l'avesse scritto
ogni donna e uomo che resterà in questo Gruppo e che si adopererà a
diffonderlo.
INVITO QUINDI TUTTE E TUTTI AD ENTRARE A FAR PARTE DI QUESTO GRUPPO FB CHE SI STA MUOVENDO IN UNA DIREZIONE PRINCIPALE IMPORTANTISSIMA QUELLA DEL RICONOSCIMENTO DEL REATO DI FEMMINICIDIO!
Questo è il BOLLINO per la campagna web contro il LINGUAGGIO
utilizzato dai MEDIA nel trattare il terribile problema della VIOLENZA
SULLE DONNE.
Il BOLLINO è stato creato da STEFANIA SPANO’, illustrAutrice. http://illustrautrice.blogspot.it/2012/07/non-sono-un-mediacomplice.html
Condividete care donne. Con la testa e con il cuore…
Fino a ieri era #save194 da oggi #apply194 Dunque la Corte Costituzionale ha sentenziato per la costituzionalità della Legge 194/78.
Quindi, per ora, la donna ha più diritti del suo “uovo”, a dispetto di
illogici, misogini e fanatici catto-fascisti. Repubblica però ci
ricordava ieri che in Parlamento ci sono sei proposte di legge per un
intervento sulla 194, cinque delle quali non sono esattamente ispirate
al principio “donna come persona persona”. Per questo dobbiamo tenere
alta l’attenzione, il vento non soffia dalla nostra parte, che è la
parte del diritto umano, del diritto alla salute e della libertà di
scelta, lo specifico per chi avesse dubbi.
La Legge 194/78 tra
le cose belle ne ha anche alcune meno belle. Tra le cose non belle della
legge non c’è solo l’intera impostazione concessiva che la ispira, che
quindi non tutela l’autodeterminazione delle donne, ma concede una
deroga alla determinazione biologica della femmina della specie, con
l’identificazione della donna-madre, ma soprattutto il vizio si colloca
in quell’articolo 9 che non mette limiti al numero complessivo di
obiettori presenti nella sanità pubblica, con il risultato odierno che
il 91,3% dei ginecologi e delle ginecologhe in Italia fa obiezione (dati
rilevati da Laiga e riportati nel Comunicato stampa a seguito della
Conferenza del 14 giugno 2012). Ci si trova in certi casi con una vera e
propria obiezione di struttura, del tutto fuori dalla legge che nello
stesso articolo dice: “Gli enti ospedalieri e le case di cura
autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle
procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi
di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste
dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce
l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.”
Di
fatto in Italia molti ospedali, specialmente al Sud, sono interamente
obiettanti o non garantiscono l’applicazione della legge, la maggior
parte zoppica, con una presenza di non obiettori risibile e al limite
dell’implosione della legge stessa, quando non è già completamente
scoppiata (a Napoli la morte dell’unico non obiettore del Policlinico
aveva determinato il blocco del reparto di ivg).
Oltre a
provocare un danno alla salute delle donne, creando un problema di
salute pubblica gravissimo, con pazienti destinate ad attendere
lungamente un ivg, che potrebbe essere molto meno impattante dal punto
di vista fisico e psicologico se fatta al secondo mese, piuttosto che
sul filo del termine dei 90 giorni, ma maggiormente per gli aborti
tardivi, che sono quelli determinati da patologie della madre o del
feto. Questa obiezione, che possiamo tranquillamente definire illegale e
criminale pesa enormemente sui non obiettori, cioè i buoni medici (mi
verrebbe da dire: i medici, visto che quegli altri non medicano proprio
niente).
Sui medici e le mediche non obiettanti pesa tutto il
lavoro di ivg, che per quanto sia una scelta essere non obiettori, fatta
per i motivi più svariati, ma principalmente per rispetto verso le
pazienti, un ginecologo o una ginecologa, ha il diritto a fare anche
altro, a esercitare pienamente la loro professione, la necessità
primaria è quindi di una più equa distribuzione del carico di lavoro,
sia per loro che per le pazienti.
Rilanciamo così la battaglia
anche noi, assieme a Lipperini, e alle altre persone, donne e uomini che
in queste settimane tanto hanno lavorato per far emergere gli attacchi
alla legge 194, perché i problemi strutturali di una legge discreta,
vengano rimossi immediatamente, e quel grosso buco rappresentato
dall’art.9, voluto o non voluto dai legislatori, non importa più, venga
colmato. Rilanciamo con l’hash tag #apply194 laddove applicazione della
194 non significa che la legge vada applicata così com’è, ma che bisogna
regolare l’obiezione perché la si possa applicare senza creare disagi a
chi si trova in stato di necessità: le donne che devono abortire.
Rilanciamo anche le proposte fatte durante la campagna #tettaprolife
(perchè i veri e le vere prolife siamo noi prochoice!), aggiungendone
altre, del tutto simili a quelle proposte da AIED, Associazione Coscioni
e Lipperini:
- Sessualità libera (con chi vuoi); - Contraccezione disponibile (anche d’emergenza); - Aborto assistito e gratuito; - Consultorio pubblico e laico; - Creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza; - Elaborazione di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza; - Concorsi pubblici riservati a medici non obiettori per la gestione dei servizi di IVG; - Utilizzo dei medici “gettonati” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori; - Deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di IVG sono scoperti.
Per cominciare, come dice Chiara Lalli nel suo post, partiamo da una
domanda semplice, chiediamo al nostro ginecologo se è obiettore di
coscienza, se lo è agiamo di conseguenza.
#save194: La 194 è salva, per oggi. Pochi
minuti fa la Corte costituzionale ha comunicato che la questione di
costituzionalità della legge 194 sollevata dal giudice di Spoleto è
“manifestamente inammissibile”.
La campagna è nata
spontaneamente su internet, tante donne e uomini hanno/abbiamo
“istigato” più appuntamenti in varie città d’Italia e non solo [1] [2]
[3] [4] [5]. C’era anche un gruppo di
supporto a Londra. Abbiamo diffuso materiali utili in rete ed ecco
alcune immagini (da Roma/Napoli…) già condivise sulla mobilitazione
nelle varie città.
Mandate i vostri report di lotta (o foto o
quel che volete) scrivendo a fikasicula@grrlz.net
Ora resta da
combattere contro no-choice che vogliono che il parlamento europeo
ratifichi il fatto che le donne che abortiscono vengano considerate
delle assassine, le varie regole funerarie che obbligano alla sepoltura
degli embrioni e i no-choice che si appropriano dei consultori per
renderli succursali dell’ideologia dei quali sono portatori. La 194 è
salva. Noi lo siamo un po’ meno. Continuiamo a lottare perché il nostro
corpo e le nostre scelte sono tutte da difendere. Vogliamo educazione
sessuale nelle scuole, libertà di scelta, contraccezione disponibile
anche d’emergenza, ivg gratuito e assistito, basta ricatti e terrorismo
psicologico. Basta giudizi morali sulla nostra sessualità. Vogliamo
risiedere nella civiltà e non nel medioevo e nella barbarie che lasciava
morire dissanguate le donne che si infilzavano l’utero con un ferro da
calza o che si avvelenavano con gli infusi di prezzemolo.
Genitori e figli: quale futuro per i diritti fondamentali delle donne e dei figli minorenni che hanno subito violenza
Oggi alla Commissione Giustizia del Senato è prevista la discussione
sui DDL n. 957(PDL-UDC), DDL n. 2800 (IDV). Queste proposte contengono
gravissime violazioni dei diritti fondamentali delle donne vittime di
violenza e dei figli minorenni vittime di violenza diretta o assistita,
in contrasto con quanto raccomandato dall’ONU in materia alle
Istituzioni italiane rispetto alla legge sull’affido condiviso
n.54/2006.
Tali disegni di legge rendono obbligatorio il ricorso alla mediazione
familiare anche in casi di padri/mariti o partner violenti, a discapito
delle madri e dei figli minorenni, subordinando ogni decisione che
riguarda i figli ad una condivisione con l’ex partner violento. Tali
leggi ricordano la “patria potestà”, cancellata dal diritto di famiglia
nel 1975. Inoltre si introduce la Sindrome di Alienazione Parentale
quale motivazione “scientifica” a sostegno di queste norme.
Il minore che ha subito direttamente atti di violenza dal padre o ha
assistito a forme di violenza fisica sessuale psicologica e verbale
contro la madre o su altre figure affettive di riferimento, subisce
conseguenze devastanti sotto ogni punto di vista, nel breve e lungo
termine, e potrebbe riprodurre quei comportamenti.
Denunciare la violenza domestica per una donna non è un espediente
per avere condizioni migliori di separazione, ma una decisione dolorosa
per uscire da un trauma profondo dopo molta sofferenza, anche assieme ai
propri figli, rispetto ad una persona che si è amata. La violenza
domestica è una realtà in Italia ed in Europa ancora oggi molto diffusa e
poco denunciata, è secondo l’ONU la causa del 70% dei femmicidi:
“Femmicidio e femminicidio in Europa. Gli omicidi basati sul genere
quale esito della violenza nelle relazioni di intimità”.
In Italia da gennaio a giugno sono 63 le
donne ammazzate dal partner. Avere vicino un marito responsabile e
rispettoso, e un padre capace di crescere i figli in maniera condivisa è
la premessa per una relazione familiare positiva, è il desiderio di una
madre. La PAS, o sindrome di alienazione parentale è considerata un
disturbo relazionale nel contesto delle controversie per la custodia dei
figli, in cui un genitore manipola il figlio contro l’altro genitore
per rivalersi. Malgrado non esista nessun riconoscimento diagnostico
scientifico (DSM) della PAS al mondo, tale “sindrome” viene spesso
erroneamente utilizzata nei tribunali e dai servizi sociali in Italia
per decretare il diritto dell’abusante, in casi di separazione per
violenza agita dal partner sulla madre e sui figli, ad ottenere una
mediazione forzata e poi l’affido condiviso dei figli. È bene
sottolineare che i bambini e le bambine che hanno un padre violento si
giovano della sua assenza: solo così possono ricostruire un reale futuro
sereno assieme alla madre. Si ritiene di dubbia costituzionalità e
lesiva dell’ordinamento giuridico italiano la volontà di introdurre
della PAS (Sindrome di Alienazione Parentale); vista la sua assoluta e
conclamata mancanza di validità scientifica a livello internazionale. Le
realtà che lavorano per il rispetto dei diritti umani e a contrasto
della violenza maschile sulle donne e sui figli minorenni, chiedono che :
- Che la legge vieti espressamente l’affido condiviso nei casi di
acclarata violenza agita nei confronti di partner e/o sui figli
- che sia definitivamente proibito l’utilizzo della sindrome di
alienazione parentale in ambito processuale e da assistenti sociali come
motivo di mediazione familiare e affido congiunto. Casa Internazionale delle Donne – Roma; UDI nazionale; Piattaforma CEDAW; Associazione Differenza Donna; Associazione Donne, Diritti e Giustizia; Associazione Giuristi Democratici; Associazione Il cortile; Associazione Maschile Plurale; A.R.PA, Ass. Raggiungimento Parità donna uomo; Bambini Coraggiosi; Cooperativa Be Free; D.I.Re – Donne in rete contro la violenza; Fondazione Pangea; Lorella Zanardo- Il corpo delle donne; Movimento per l’Infanzia; Zeroviolenzadonne; Femminismo a Sud; Loredana Lipperini;
Per adesioni e per info: 30yearscedaw[at]gmail.com
questo il libro che la Prof. Alessandra Lumachelli presenterà Sabato 7 Aprile alle 18.00 Presso il Circolo Arci La CasaMatta, Via Alberica 62, Massa.
Con il suo lavoro, che costituisce un’utile guida e strumento per la comprensione del fenomeno, la prof.ssa Lumachelli fornisce il suo interessante contributo, affinché il dolore delle piccole vittime trovi voce e non resti inascoltato” (dall’Introduzione). Il testo riporta anche casi concreti e decine di saggi grafici, nel tentativo di diventare sia un manuale teorico che pratico. Destinato a genitori, insegnanti, operatori sociali e medico-legali, formatori e grafologi, … agli adulti responsabili interessati ad una società più serena.
La prof.ssa Alessandra Lumachelli formatrice, perito grafologico, consulente grafologica, esperta nelle tematiche di abuso e rieducatrice del gesto grafico, ha pubblicato un saggio socio-demografico sull’immigrazione, ed i testi grafologici “La scrittura della personalità. L’aiuto della grafologia per raggiungere consapevolezza e benessere”e “Scrittura creatività e arte. Viaggio “grafofilopsicosocioantropologico” dentro l’arte (La scrittura dell’artista Ingeborg Luscher)”. Contribuisce a siti web e riviste. Aderisce al codice deontologico europeo per i grafologi. E’ socio dell’AGRAGI-Associazione Grafologi Giudiziari, del CESAP-Centro Studi Abusi Psicologici, del CISMAI-Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia, dell’APRESPA-Associazione Per Ricerche E Studi di Psicologia Applicata, di ETTA sos-Esperienza Trasparenza Tutela Aiuto (di cui è anche responsabile di riferimento per il Centro-Italia).
Il “blogging day” è un giorno in cui un gruppo di blogger decide di parlare di un unico argomento. Allo scopo di sensibilizzare quante più persone possibili e di far parlare anche i media degli Italiani rapiti.
Il 19 Marzo 2012, anniversario della guerra in Libia, i blogger, gli utenti Facebook e Twitter dedicheranno il proprio post a questo argomento e pubblicheranno in forma di ricordo e di protesta, il logo in basso, presente in questa pagina.
Gridiamo la nostra speranza e il nostro desiderio di libertà, facciamo sentire alle famiglie dei sequestrati che noi ci siamo, noi non dimentichiamo.
Chiediamo allo Stato Italiano, nonostante il legittimo riserbo, di dare Voce e volto agli Italiani sequestrati. Vorremmo una collaborazione piena anche da parte dei Media, delle testate giornalistiche e dei giornali online!
Ricordiamo i loro nomi…
1) Rossella Urru, sequestrata nella notte tra il 22 e 23 febbraio 2011 mentre prestava servizio in un campo profughi nel sud dell’Algeria
2) Maria Sandra Mariani, scomparsa il 2 febbraio 2011 durante un’escursione nel Sahara algerino.
3) Giovanni Lo Porto, ha 38 anni, siciliano, lavora per una ong tedesca. E’ stato rapito in Pakistan il 19 gennaio scorso.
4) Enrico Musumeci, 55 anni di Mascali (CT) Comandante della petroliera ‘Enrico Ievoli’, catturata al largo delle coste dell’Oman;
5) Valentino Longo, 29 anni, messinese, imbarcato sulla ‘Enrico Ievoli’
6) Letterio La Maestra, di 33, messinese, imbarcato sulla ‘Enrico Ievoli’
7) Daniele Grasso, catanese, imbarcato sulla ‘Enrico Ievoli’
8) Carmelo Sortino, Pozzallo (Rg) imbarcato sulla ‘Enrico Ievoli’
9) Francesco Bacchiani, Molfetta (Ba) imbarcato sulla ‘Enrico Ievoli’
*** Franco Lamolinara, questo Blogging Day è anche per te. Scomparso nel nord ovest della Nigeria il 12 maggio 2011, aveva 47 anni. Si trovava nel paese africano per lavoro. Impiegato come tecnico per la società Stabilini Visinoni Limited, era impegnato nella costruzione di un edificio della Banca centrale a Birnin Kebbi. E’ stato brutalmente assassinato l’8 marzo a seguito di una incursione dei servizi speciali Inglesi in una operazione congiunta con le forze Nigeriane.
Pubblicate il banner sottostante nel vostro sito, nel vostro blog, inseritelo come immagine del profilo e condividete… per loro.
Ho da segnalarvi due iniziative che riguardano la drammatica situazione sulla violenza sessuale in Italia.
Ieri Lorella Zanardo ha scritto una sorta di appello a fare qualcosa (riunione/manifestazione) per difendere non più solo le ragazze ma anche le bambine, citando i ben tre episodi di violenza sessuale che ieri sarebbero accaduti a distanza di poche ore (due sono ragazzine di 13 anni).
Oggi su twitter è partito il lancio dell'hastag #italyrapesinsilence (l'Italia stupra in silenzio). Usatelo, usiamolo tutt* per mettere in rilievo l'argomento. Qui è stato anche creato un evento Facebook.
Inoltre è stata lanciata recentemente un'idea sul blog Ci riprovo per sostenere le vittime di violenza sessuale partendo dalla vicenda e dall'appello contro l'omertà di Anna Maria Scarfò, una ragazza di 25 anni che dopo aver denunciato e fatto condannare i sei aguzzini che la violentarono a 13 anni ora vive in una località protetta. "Dal giorno in cui ho deciso di ribellarmi e di dire basta, sono stata condannata dal mio stesso paese" dice Anna Maria.
Scrive dunque Lola su Ci riprovo: "Oggi il pensiero di Anna Maria mi ha immediatamente riportata ai racconti delle femministe degli anni '70. A "Processo per stupro", alle donne stuprate che diventano imputate.
Alle risate, alle battute volgari dette a mezza bocca, alle domande che vogliono umiliarti, che vogliono che tu ammetta che te la sei cercata, che sei una facile, una puttana, una che poi si è pentita e ora vuole distruggere intere famiglie.
E una compagna, parlandone, chiede: "e ora ditemi, cosa è cambiato?" Di getto, ho risposto: "che non siamo in tribunale con le accusate".
E' così assurdo pensare di ricominciare a farlo?
Non dico di girare per tutti i tribunali del paese, ma di organizzarci ognuna nella propria (città, ndr) per dimostrare solidarietà alle donne che si trovano sole a dover affrontare un "processo per stupro".
QUESTA E' UNA CAMPAGNA DI CITTADINANZA ATTIVA, frutto del lavoro collettivo di un gruppo di persone che rappresentano solo se stesse, riunite nel gruppo FB 'Lettera ai partiti'.
Cosa vogliamo? Rafforzare la RAPPRESENTANZA FEMMINILE, e consolidare la TRASPARENZA di tutti i candidati che prima o poi saremo chiamati a scegliere RESTITUENDO POTERE DI SCELTA AGLI ELETTORI ANCHE con questa legge elettorale!
Come? Cambiando l’unica cosa che possiamo cambiare subito: il nostro comportamento di elettrici e di elettori
L'8 marzo in tutte le città d'Italia si darà inizio alla raccolta delle adesioni per poi chiedere ad aprile un incontro con i responsabili della politiche femminili dei partiti italiani. Le risposte così come le non risposte saranno pubblicate e AMPIAMENTE diffuse.
LEGGETE LA LETTERA:
Siamo cittadine di questo Paese, alcune di noi lavorano, altre studiano, sono disoccupate o dedicano il loro tempo alla famiglia. Ma tutte noi, nel lavoro, nello studio, fuori e dentro la famiglia, ogni giorno facciamo il nostro dovere, e lo facciamo al meglio perché ci crediamo.
Anche per questo non ci rassegniamo a lasciare questo Paese nelle mani di un’oligarchia, quasi tutta maschile, di “professionisti della politica”. Perché la politica riguarda la vita di tutte noi.
Scriviamo questa lettera, anche a nome di tutti gli uomini che ne condividono lo spirito, sia a titolo individuale che a nome di varie associazioni e gruppi appartenenti alla società civile perché abbiamo deciso di cambiare l’unica cosa che possiamo cambiare subito: il nostro comportamento!
Ve lo comunichiamo perché la cosa vi riguarda direttamente in almeno due punti:
1) Nell’attesa che riusciate a mettervi d’accordo su una nuova legge elettorale che possa eliminare ogni discriminazione di genere, noi abbiamo deciso di votare solo per quei partiti che presenteranno liste con ugual numero di candidati dei due sessi.
Questo per rafforzare la presenza delle donne nelle istituzioni, dalle quali finora sono state metodicamente escluse, in nome del principio di uguaglianza sancito dall'art.3 della Costituzione italiana.
Quindi:
I PARTITI CHE NON PRESENTERANNO LISTE CON IL 50% DELLE DONNE TRA I CANDIDATI, NON AVRANNO IL NOSTRO VOTO.
2) Nell’attesa di una legge elettorale che restituisca il potere di scelta alle elettrici e agli elettori, abbiamo deciso di votare solo quei candidati e candidate che, attraverso i partiti che li sostengono, metteranno a disposizione dell’opinione pubblica la loro biografia completa, con la storia dettagliata del loro percorso professionale, patrimoniale e politico, ivi compresi meriti e competenze che noi ci riserveremo di controllare nella loro completezza e veridicità.
Questo in nome di una necessità di trasparenza essenziale al miglioramento della qualità della rappresentanza politica, sia maschile che femminile, che ormai si è ridotta a rappresentare soltanto se stessa.
Quindi:
I PARTITI CHE NON FORNIRANNO I PROFILI DETTAGLIATI DELLE LORO CANDIDATE E DEI LORO CANDIDATI, NON AVRANNO IL NOSTRO VOTO.
Se queste due richieste saranno disattese, non vi voteremo; lo faremo privatamente, a partire da noi stesse, dalla rete delle nostre relazioni familiari, amicali, professionali, e lo faremo pubblicamente, in modo più organizzato, utilizzando tutti i canali possibili delle donne e della comunicazione politica, sociale, culturale.
Poiché crediamo nell’urgenza di questa battaglia di democrazia e di civiltà, invitiamo tutte le cittadine e tutti i cittadini che condividono lo spirito di questa lettera a firmarla e a diffonderla.
Alle donne dei partiti che condividono le nostre richieste chiediamo di farsene interpreti presso le loro segreterie e di rendersi disponibili per un incontro/confronto che contiamo di organizzare al più presto.
E' stata dimenticata dalla maggior parte dei mass media e non solo! Rossella Urru, 29 anni, è nelle mani di un gruppo armato che la tiene in ostaggio da qualche parte nel sud-est dell’Algeria. Cooperante italiana, è stata rapita da un commando la notte tra il 22 e il 23 ottobre 2011.
Rossella si occupava di rifornimenti alimentari per il campo profughi Saharawi di Rabuni traboccante di donne e bambini allo stremo e chi come me è della Provincia di Massa-Carrara dovrebbe essere ancora più partecipe dell'accaduto dato che dal 2004 abbiamo stretto un "patto di amicizia" con questa popolazione e accogliamo bambini e bambine Saharawi! E allora perchè tutto questo silenzio, dal locale al globale??? Perchè preferire scandali alla Novella 2000?
Solo ultimamente dopo l'appello di Geppi Cucciari dal Palco dell'Ariston e quello di Fiorello si è acceso un lumino sulla situazione di Rossella.
Le ultime notizie che si hanno di lei risalgono a dicembre quando un gruppo dissidente dell’Aqmi (Jamat Tawhid Wal Jihad Fi Garbi Afriqqiya ) ha rivendicato il rapimento. Da allora più nulla. Silenzio. I media e il mondo politico sembrano assolutamente disinteressati. Fa sicuramente più audience la farfalla di Belen o la scollatura della Tatangelo!!!
Uniche eccezioni il Tg3 che ha inserito un banner che campeggia nella parte alta della sua homepage. “Lo terremo fino alla liberazione di Rossella Urru – scrive Silvio Giulietti della redazione Internet – vi invitiamo a segnalare all’indirizzo mail tg3net@rai.it tutte le iniziative di cui venite a conoscenza utilizzando come oggetto del messaggio la dicitura “Rossella libera”. Le pubblicheremo”.
E il Tg di La7 che ci ricorda anche di un'altra cooperante italiana Sandra Marianiostaggio di un gruppo del Maghreb vicino ad Al Qaeda da oltre un anno.
Voglio dedicare a Rossella, a Sandra, ma anche a tutte quelle persone che come loro si trovano in paesi in serie difficoltà a portare aiuti e solidarietà concreta a rischio della propria vita, la Lettera contro la guerra del grande Tiziano Terzani :
Lettera contro la guerra
Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi.
Sono in passioni come il desiderio, la paura, l'insicurezza, l'ingordigia, l'orgoglio, la vanità...
Lentamente bisogna liberarcene.
Dobbiamo cambiare atteggiamento.
Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse.
Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene.
Educhiamo i figli ad essere onesti, non furbi.
E' il momento di uscire allo scoperto; è il momento d'impegnarsi per i valori in cui si crede.
Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale molto più che con nuove armi.
Con questo appello chiediamo ai media di dedicare spazio alla storia di Rossella e di Sandra, di renderle note all’opinione pubblica. Chiediamo al governo e al mondo politico di attivarsi per la loro liberazione.
Impegnamoci tutt*, vogliamo Rossella e Sandra libere.
#freerossellaurru
Intanto noi come donne del movimento SNOQ di Massa nel nostro piccolo per l'8 Marzo faremo tra le tante cose anche volantinaggio ed informazione!
188 FIRME PER LA LEGGE 188
CONTRO LE DIMISSIONI IN BIANCO
Siamo 188 donne autorevoli e determinate a difendere la dignità e l'autonomia femminile. Stiamo infatti chiedendo alla Ministra del Lavoro e delle Pari Opportunità Elsa Fornero di ripristinare la legge 188 del 2007 che impediva la pratica delle finte dimissioni volontarie, le dimissioni “in bianco”, fatte firmare al momento dell'assunzione per essere utilizzate quando quel lavoratore avrà una lunga malattia, quella lavoratrice si sposerà o all'inizio di una gravidanza. È una pratica che colpisce soprattutto le giovani donne e che si può considerare, in termini generali, un abuso contro lo Stato di diritto.
Ci teniamo a ricordare tre cose: 1) la legge non rappresenta un onere economico per la collettività e può essere applicata, utilizzando le tecnologie informatiche, con procedure semplicissime; 2) la legge fu approvata da un arco ampio di forze politiche ma subito abrogata dal governo Berlusconi nel maggio 2008; 3) proseguire nell'assenza di una norma può spingere i datori di lavoro più spregiudicati a perseverare nell'ingiustizia.
Le 14 donne promotrici:
Roberta Agostini
Ritanna Armeni
Giovanna Casadio
Titti Di Salvo
Mariella Gramaglia
Raffaella Lamberti
Maria Pia Mannino
Marisa Nicchi
Liliana Ocmin
Anna Rea
Serena Sorrentino
Soana Tortora
Sara Ventroni
FIRMA ANCHE TU QUI QUESTA PETIZIONE NE VA DEL FUTURO LAVORATIVO DI TUTT* NOI!
DIMISSIONI IN BIANCO: IO NON FIRMO!
PERCHE’ SE FIRMO LA LETTERA DI DIMISSIONI QUANDO MI ASSUMONO PERDO LA LIBERTA’ DI:
Lavorare senza ricatto
Diventare madre quando voglio
Esercitare il diritto di sciopero
Curarmi se mi ammalo
RIVOGLIAMO LA LEGGE 188/2007 CHE IMPEDIVA LE DIMISSIONI IN BIANCO CON UN SEMPLICE MODULO CERTIFICATO.
Rete toscana dell’appello “188 donne per la legge 188/2007”
Ci sono donne straordinarie che non fanno niente per essere notate e con grande cuore donano la propria vita agli altri. Manteniamo viva l'attenzione su Rossella Urru,
Oggi è proprio una bella giornata! Quale regalo migliore per un buon San Valentino!
Sì, perchè ogni tanto ci meritiamo di ricevere buone notizie, fa bene alla salute di tutt* noi.
In attesa che venga presentata una legge ad hoc vi segnaliamo questa sentenza sinonimo di buona prassi:
Il giudice parte da un principio troppo spesso ignorato: quello della casalinga è un lavoro. La donna che si prende cura dalla casa e dei figli è, secondo la definizione giuridica, una «lavoratrice non dipendente». E siccome proprio perché non dipendente non ha diritto ad alcun permesso per la cura del neonato, allora è a lui che «occorre fare riferimento nelle norme rivolte a dare sostegno alla famiglia e alla maternità». Il «lui» di questa storia è un poliziotto della questura di Venezia, un dipendente del settore amministrativo. Dopo la nascita di una figlia con problemi di salute molto seri (ha un grave handicap), l'agente aveva chiesto di poter utilizzare sia i riposi giornalieri sia i periodi di congedo per la malattia della bambina, possibilità previste nei primi anni di crescita, come aiuto alle famiglie, dal Testo Unico del 2001. Il ministero dell'Interno, dal quale dipende la polizia di Stato, gli aveva però negato tutte e due le chance: la moglie e madre della piccola, avevano obiettato gli avvocati del ministero, è una casalinga quindi lui non ha il diritto di avere né permessi né congedo, non si può sottrarre al suo lavoro ore o giorni interi per accudire la bimba di cui si prende già cura la moglie.
Ricorso. Il caso è finito nelle mani della consigliera di parità della Provincia di Venezia, Federica Vedova, e poi sul tavolo del giudice del lavoro Margherita Bortolaso. Il risultato è scritto nelle cinque pagine della sentenza depositata pochi giorni fa: il ricorso è stato accolto perché non concedere i permessi e il congedo al poliziotto è stato un atto «illegittimo». Il padre della bambina malata aveva invece il diritto di ottenere ciò che chiedeva: per stare accanto alla piccola nei momenti più difficili della malattia durante i suoi primi anni di vita, certo. Ma anche per aiutare la moglie nella gestione quotidiana delle cure alla neonata, indipendentemente dall'handicap della piccola.
Scrive il giudice del lavoro: «L'illegittimità del diniego opposto dall'Amministrazione (il ministero dell'Interno, ndr ) alla fruizione dei benefici richiesti ha comportato una evidente discriminazione a danno del poliziotto rispetto alla generalità dei lavoratori padri che si trovano nelle sue stesse condizioni». Tutto questo è una nota ancora più stonata se si considera il fatto che «altre amministrazioni pubbliche e datori di lavoro privati riconoscono pacificamente tale diritto».
Dopo aver specificato che, in generale, un padre deve poter «beneficiare dei permessi per la cura del figlio, allorquando la madre non ne abbia il diritto in quanto lavoratrice non dipendente e purtuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato», il giudice ripara al torto subito dall'agente condannando il ministero dell'Interno a «pagare al lavoratore discriminato un importo pari ai numeri dei permessi e alle giornate di congedo negate»: 9.750 euro.
E per sottolineare quanto sia fondamentale «il sostegno a famiglia e maternità» la sentenza cita le «finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall'articolo 31 della Costituzione». Quello secondo il quale «la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. E protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a questo scopo». Fra gli «istituti» ai quali la dottoressa Bortolaso si riferisce ci sono i diritti di un padre ad avere il tempo che gli spetta per prendersi cura di sua figlia. Anche se la moglie è casalinga e, nell'immaginario di ancora tante, troppe persone, è una «non lavoratrice». Sbagliato, ripete più volte questa sentenza: è una «lavoratrice non dipendente».
Inoltre tralasciando i commenti che verrebbero da fare sulle dichiarazioni omofobe di Giovanardi vi comunichiamo che oggi si terrà l'iniziativa organizzata dall' associazione Gay Center che organizzerà un sit in dinanzi a Montecitorio, nel corso del quale Baci di cioccolata saranno distribuiti al Premier Mario Monti, nonchè a tutti i leader politici: da Alfano a Bersani, passando per Casini e Di Pietro.
“Dolci baci” di cioccalata saranno consegnati anche al senatore del Pdl, Carlo Giovanardi, autore dell’ennesima invettiva contro gli omosessuali. Quest’ultimo, infatti, scatenando immediatamente diverse polemiche ha avuto la brillante intuizione di considerare “fastidioso” vedere due lesbiche darsi un bacio, almeno quanto vedere qualcuno che fa pipì in strada.
Il 6 febbraio è la Giornata internazionale per l'abbandono delle mutilazioni dei genitali femminili, una pratica cui sono state sottoposte circa 140 milioni di donne nel mondo.
L'impegno dell'Italia, che in questo campo si era distinta negli anni passati, sia con misure volte a prevenire la pratica nel nostro paese, sia con misure di cooperazione allo sviluppo, è venuto progressivamente affievolendosi.
Poco o nulla si sa dei fondi che ogni anno la legge n. 7/2006 mette a disposizione le attività di prevenzione. I tagli di bilancio rischiano di porre fine anche a queste attività?
La lettera aperta che AIDOS indirizza oggi ai ministri del Welfare con delega alle Pari Opportunità Elsa Fornero, della Salute Renato Balduzzi, degli Esteri Giuliomaria Terzi di Sant'Agata e della Cooperazione Internazionale e Integrazione Andrea Riccardi vuole essere un richiamo all'impegno dell'Italia per promuovere l'abbandono delle mutilazioni dei genitali femminili, un impegno che non può venire meno proprio nel momento in cui si registrano i primi progressi verso l'abbandono definitivo della pratica e dunque verso il pieno godimento dei diritti umani anche per le donne e bambine finora sottomesse a questa norma sociale.
AIDOS confida nella sensibilità e attenzione dei Ministri per ricevere presto una risposta ai propri quesiti, e ringrazia vivamente per dare visibilità a questo messaggio, affiancando AIDOS e le tante donne africane impegnate, in Italia e nei propri paesi d'origine, affinché nessuna bimba sia più costretta a subire questa pratica.
L’ infibulazione è il termine che si usa per indicare le mutilazioni genitali che vengono inflitte in certe parti del mondo.Questa pratica consiste nell’asportazione del clitoride, delle piccole labbra e parte di quelle grandi, e nella cucitura della vulva, senza anestesia; viene lasciato aperto solo un foro per la fuoriuscita del sangue mestruale e dell’urina. Tutto questo per mantenere intatta la purezza della donna.
Le donne che non subiscono questa pratica vengono considerate impure, non troveranno mai marito, fino all’allontanamento dalla società. Questo fenomeno riguarda bambine, ragazze e donne. Il sistema giudiziario di alcuni paesi ammette che tra le cause di divorzio compaiano anche difetti fisici della sposa, dovuti a infibulazioni malriuscite. Le conseguenze di questa tradizione si ripercuotono a livello psicologico sulla donna, ma anche a livello fisico: i rapporti sessuali saranno impossibili fino alla defibulazione, che consiste nella scucitura della vulva, da parte dello sposo, per consentire la consumazione del matrimonio. I rapporti sessuali diventano dolorosissimi ed è impossibile che le donne possano trarne piacere. Spesso insorgono complicazioni come cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali. Possono subentrare complicazione anche nel momento del parto: il bambino si trova a dover passare attraverso del tessuto cicatrizzato e quindi non elastico, il rischio che corre è di non ricevere abbastanza ossigeno al cervello e di avere conseguenze a livello neurologico. Durante il parto le donne infibulate rischiano la rottura dell’utero, con conseguenze fatali per la madre e il bambino. Dopo ogni parto la donna subisce un’altra infibulazione per ripristinare la situazione prematrimoniale. In Egitto nonostante tale pratica è illegale, si calcola che tra l’85% e il 95% delle donne sia stata sottoposta ad infibulazione. La Somalia dove il 98% delle donne è sottoposta a tale pratica, è stata definita dall’antropologo francese de Villeneuve, “il paese delle donne cucite”. Questa pratica non viene eseguita solo nel continente africano ma anche in Bolivia, Yemen, Kurdistan, Indonesia e persino Italia (ogni anno 2000 o 3000 bambine immigrate sono a rischio). Si stima che nel mondo sono 150 mila le donne che sono state sottoposte alla mutilazione genitale, un dato sconcertante, se si pensa che tale pratica non è di tradizione religiosa, ma una conseguenza dovuta ad una società patriarcale. Ogni giorno l’infibulazione viene subita da 8 mila bambine. Secondo uno studio di Aldo Morrone direttore dell’INMP - Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni
Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà. In Italia le donne infibulate sono 35 mila.
Nel 2009, con l’approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale dopo che gli episodi si erano moltiplicati creando un diffuso allarme sociale, al giudice non era consentito applicare, per presunti stupratori (con a carico gravi indizi di colpevolezza) misure cautelari diverse dal carcere. Ma nell’estate del 2010 la Corte Costituzionale , ha ritenuto la norma in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione e ha detto sì alle alternative al carcere cancellando così l’obbligo del carcere nei confronti del singolo responsabile. Ora di quella decisione ha dato un’interpretazione estensiva la Corte di Cassazione, chiamata ad esaminare una violenza sessuale di gruppo. I supremi giudici hanno detto sì a misure alternative al carcere anche per i componenti del «branco».
PUNTO PRIMO: è proprio perchè le pene sono troppo leggere e questo genere di reati viene da sempre considerato MINORE che chi ha il coraggio di denunciare e poi non si vede allontanare l'uomo violento troppo spesso poi leggiamo sulla cronaca che è stata ammazzata per mano di quell'uomo!!!! Togliendo la custodia cautelare questo è ancor più facile!!!
PUNTO SECONDO:ci vogliamo basare sulla realtà dei fatti, di ciò che accade ogni giorno?????? Non si può far finta di niente!! Abbiamo anche appena ricevuto un richiamo ONU sull'inadeguatezza in tema di pene e prevenzione su quella che è un'emergenza ormai per l'Italia, la violenza nei confronti delle donne!
Altri "lividi alle Donne. E non solo sull'anima" di Silvia Nascetti
L'estensione interpretativa alla sentenza n. 265 del 2010 della Corte Costituzionale ha ulteriormente aperto il vergognoso cancello agli stupratori, anche quelli del "branco".
Nel 2009 il Parlamento convertì con modificazioni, con Legge n. 38 del 23 aprile 2009, il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonchè in tema di atti persecutori.
Fu una vittoria di tutti, non solo delle donne. Fu una vittoria della civiltà. E' con le leggi, con la loro applicazione, con le sanzioni a chi contravviene ad esse, che si misura la civiltà giuridica e sociale di un Paese.
A partire dal 2009, quindi, non era consentito al giudice di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari diverse del carcere in carcere (previste dal capo VI della legge 26 luglio 1975, n.354).
PRIMO COLPO MORTALE
Ma, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 265 del 2010, invece, stabilì che la norma era in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione.
SECONDO COLPO MORTALE
La recente sentenza della 3^ Sezione della Suprema Corte ha altresì stabilito - con interpretazione estensiva favor rei - che i principi interpretativi che la Corte Costituzionale ha fissato per i reati di violenza sessuale e atti sessuali su minorenni sono 'in toto' applicabili anche alla 'violenza sessuale di gruppo' , dal momento che quest'ultimo reato "presenta caratteristiche essenziali non difformi" da quelle che la Consulta ha individuato per le altre specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio.
Dagli insegnamenti di Diritto Penale di Aldo Moro, ricordo che "uguaglianza davanti alla legge" significa trattare e giudicare delitti simili in modo uguale. Ma, diventa aberrante una giustizia che pretenda di trattare e giudicare delitti differenti in modo uguale.
E, il "delitto differente" si chiama: VIOLENZA ALLE DONNE.
(Silvia Nascetti, giuslavorista, esperta in politiche di genere e pari opportunità, fondatrice del gruppo DONNE CHE SI SONO STESE SUI LIBRI E NON SUI LETTI DEI POTENTI E UOMINI CHE LE AMANO COSI')"
Sono partite lettere di sensibilizzazione ed indignazione sia alle Ministre che alla Corte di Cassazione da parte di donne e gruppi come la Rete delle Reti!
Questo è l'appello:
"Al di là di altre eventuali forme di protesta (es. di piazza), si potrebbe:
1_scrivere una LETTERA APERTA alla Corte di Cassazione, Sezione etc. etc., indirizzandola anche per conoscenza alle due Ministre e facendola pubblicare - in quanto lettera aperta - dai giornali.
2_La lettera dovrebbe cominciare con
VOGLIAMO IL 50% della CORTE DI CASSAZIONE DI SESSO FEMMINILE!
Il corpo della lettera dovrebbe contenere i seguenti punti:
a_ lo stupro di gruppo non è assimilabile a quello individuale proprio per la pericolosità sociale del gruppo;
b_lo stupro di gruppo è l'anticamera del femminicidio.
Per chi aderisce alla Rete delle Reti la lettera dovrebbe essere della Rete delle Reti, dovrebbe partire in blocco da tutti i gruppi che la compongono ed essere ripetuta singolarmente, con identica intestazione (Rete delle Reti + il proprio gruppo e la propria firma) da ogni appartenente a ciascun gruppo.
Quindi, invadere le caselle postali della Cassazione, dei due Ministeri e dei giornali."
SOLLECITO PER LA REGIONE TOSCANA DA PARTE DELLA CONSIGLIERA STACCIOLI:
Il Comitato Promotore Se non ora, quando? condanna con forza la minimizzazione della gravità del reato di violenza di gruppo operata dalla Cassazione. La violenza sessuale eseguita dal branco è un’abominevole aggressione, ma contiene anche una forma di disprezzo nei riguardi delle donne. Ci sembra inaudito che non ci sia piena consapevolezza della carica offensiva di questa violenza. Auspichiamo che si rifletta sulla gravità delle conseguenze di questa decisione, soprattutto in un momento in cui sale il numero delle donne che subiscono violenza e che vengono uccise. Questa sentenza favorisce un processo di normalizzazione di reati gravissimi contro le donne già equiparati dai media a fatti di cronaca nera. Le donne si opporranno con tutti i mezzi per contrastare questa cultura che offende la dignità della loro persona
TRIBUNALE DEL RIESAME: è formato da 3 giudici (tribunale collegiale) i quali si occupano di controllare, rivedere, verificare la legittimità dei provvedimenti restrittivi della liberta’ personale quando questi vengono contestati (impugnati).
CORTE DI CASSAZIONE: senza badare ai fatti, assicura che la legge venga osservata in maniera esatta e uniforme. Rappresenta l’ultima possibilità (dopo la corte d’Appello) di poter contestare un provvedimento (terzo grado).
CORTE COSTITUZIONALE: è formata da 15 giudici che tra le altre, si occupano di verificare che le nostre leggi non siano in contrasto con la Costituzione.
CODICE ROCCO: è il nostro attuale codice penale, di matrice fascista (risale agli anni 30), fortunatamente riformato dagli anni 70 in poi.
MISURA CAUTELARE IN CARCERE: Il più forte strumento di limitazione della libertà delle persone, per questo può essere disposto solo in casi specifici (pericolo di fuga, turbamento indagini, reiterazione reato) e solo se le altre misure alternative risultino inadeguate.
QUANDO?
15 febbraio 1986. La legge nr. 66 modifica il Codice Rocco e il reato di violenza sessuale prima inquadrato nei “reati contro la moralità pubblica e il buon costume” viene invece collocato nei “delitti contro la persona”.
23 aprile 2009. La Legge nr. 38 per le “misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche’ in tema di atti persecutori” modifica il codice penale, in questo modo anche per il reato di violenza sessuale “Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza… è applicata la custodia cautelare in carcere”
21 luglio 2010. Sentenza 265. La corte costituzionale ha ritenuto quella legge in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione ed ha sostenuto le alternative al carcere «nell’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure».
POI SUCCEDE QUESTO:
“La Cassazione, occupandosi di una violenza di due diciannovenni su una minorenne avvenuta a Cassino, ha accolto il ricorso di R.L. e di L.B. nei confronti dei quali il tribunale di Roma, il 5 agosto 2011, aveva confermato la custodia in carcere. I due giovani erano stati denunciati dalla squadra mobile di Frosinone dopo il racconto della ragazzina. La minorenne aveva trascorso la serata in un pub e stava tornando a casa a piedi assieme alla sorella maggiorenne, che poi però aveva proseguito da sola. La ragazza era stata avvicinata dai due, che l’avevano fatta salire in auto, portandola poi in una zona di campagna e violentandola a turno. Il gip aveva firmato l’ordinanza di custodia cautelare per i due diciannovenni con l’accusa di violenza sessuale di gruppo”.
Fonte: La Stampa del 3 febbraio 2012)
QUINDI:
La ragazza denuncia la violenza alla squadra mobile di Frosinone.
La squadra mobile di Frosinone denuncia il reato al pubblico ministero. Iniziano le indagini preliminari, vengono identificate persone, assunte informazioni, chiamati i difensori, il pm decide di andare avanti (esercitare l’azione penale) quindi rinvia a giudizio.
Vengono disposti e convalidati fermi dal giudice per le indagini preliminari che con ordinanza dispone anche la misura cautelare in carcere.
I difensori dei ragazzi non ci stanno e chiedono che l’ordinanza venga rivista.
Se ne occupa il Tribunale del Riesame. L’Ordinanza è giusta. Viene confermata la misura cautelare in carcere!
I difensori non si arrendono arrivano alla Cassazione, fanno ricorso.
E POI? E POI QUESTO: La terza sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n.4377/12) ha stabilito che i principi interpretativi che la Corte Costituzionale ha fissato per i reati di violenza sessuale (la sentenza 265/10 che sostiene le misure alternative al carcere) e atti sessuali su minorenni sono applicabili anche agli stupri di gruppo dal momento che quest’ultimo reato «presenta caratteristiche essenziali non difformi» da quelle che la Consulta ha individuato per le altre specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio.
In parole povere LA CASSAZIONE CASSA CON RINVIO cioè accoglie il ricorso degli imputati e rinvia di nuovo al Tribunale di Roma per ulteriori accertamenti perché “la motivazione dell’ordinanza impugnata è incorsa nel vizio di errata applicazione della legge” ( non ha tenuto conto delle previsioni della corte costituzionale 265/10).
EFFETTI?: INDIGNAZIONE PUBBLICA
L’UFFICIO STAMPA DELLA CORTE DI CASSAZIONE DIFENDE COSI’: “La sentenza della Corte di Cassazione sullo stupro di gruppo contiene una «interpretazione doverosa» di una sentenza della Corte Costituzionale. L’alternativa sarebbe stata sollevare una questione di incostituzionalità, che avrebbe portato verosimilmente alla scarcerazione degli indagati per scadenza dei termini di custodia cautelare”.
E POI: “La sentenza della Corte di Cassazione (n. 4377/12 della Terza Sezione penale) non ha determinato alcuna conseguenza immediata sullo stato detentivo degli imputati. Essi restano in carcere fintanto che non si sarà concluso il giudizio di rinvio davanti al Tribunale del riesame di Roma, che potrebbe anche confermare la precedente valutazione di necessità della misura carceraria.”
E ANCORA:”L’ordinanza del Tribunale di Cassino (Frosinone), che ha ritenuto di confermare la custodia in carcere, «è stata in primo luogo annullata per carente motivazione sugli indizi di colpevolezza, posto che, secondo la Corte di Cassazione, non era stato affatto chiarito, sulla base dei dati rappresentati dall’accusa, se una violenza sessuale fosse stata effettivamente realizzata dagli indagati. Solo come ulteriore argomento, la sentenza della Corte di Cassazione prospetta motivatamente una interpretazione doverosa della sentenza della Corte Costituzionale n. 265 del 2010, che, pur riferendosi alle fattispecie-base di violenza sessuale, e non specificamente alla fattispecie di violenza di gruppo, ha espresso il principio, fondato anche sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che in materia di misure cautelari, fatta eccezione per i reati di natura mafiosa, non possono valere presunzioni assolute di adeguatezza della sola misura carceraria che prescindano dalla fattispecie concreta. L’alternativa era verosimilmente quella di investire della questione la Corte Costituzionale: ma la sospensione del procedimento fino alla decisione della Consulta avrebbe potuto determinare la scarcerazione degli imputati per decorrenza dei termini di custodia cautelare, caso che non si è verificato proprio a seguito della decisione della Corte di Cassazione”. Fonte: http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=179827&sez=ITALIA
E’ vero. Nessuno è stato scarcerato. Forse davvero la sospensione avrebbe fatto scadere i termini. Magari davvero la motivazione era carente, forse…. Il vero problema però si concentra su due sole parole. E’ CASSAZIONE! Questo significa che d’ora in poi gli avvocati penalisti potranno difendere meglio i sospettati di violenza sessuale, che poi questa violenza sia di gruppo o meno cambia poco, perché a quanto pare il reato è…assimilabile…E questi difensori non faranno altro che dire e scrivere nei loro atti: ” Ma giudici della Cassazione…E’ Cassazione!!” E magari qualche volta gli andrà anche bene!
Ora, con la certezza di non avere nulla da insegnare a nessuno, propongo a me stessa e a Voi questo ragionamento:
La Cassazione ragiona solo secondodiritto e..
verifica che venga applicato legittimamente il nostro diritto e..
vista la palese regressione (speriamo solo) nell’interpretazione di questo diritto,
non sarà forse che questo tanto amato diritto sia poco poco sbagliato?
Con la sentenza nº 4377, depositata il 1º Febbraio 2012, la III Sezione penale della Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi in merito a un caso di stupro di gruppo, conia un’inedita interpretazione estensiva del contenuto della sentenza 265 del 2010 della Consulta, per evitare - come da una precisazione resa alla stampa, dopo le varie reazioni scatenate - inevitabili scarcerazioni immediate per scadenza dei termini di custodia cautelare, che avrebbero sottratto gli imputati a ogni altra detenzione eventuale, scaturente da una valutazione del giudice.
Sotterraneo di Iole Natoli - Olio su tela, 1985
Motivazione sicuramente valida e nobile che tuttavia non ci esime dal sottoporre ad analisi la fondatezza dell'estensione effettuata. Consideriamo in primis che, nel caso di imputati e non di condannati a seguito di un processo, vige la regola di presunzione d’innocenza, che cozza NON con le eventuali detenzioni cautelari conseguenti a un’autonoma decisione del giudice, MA con il carattere obbligatorio di tale detenzione, che verrebbe a determinare una riduzione della libertà del giudice nella valutazione dei provvedimenti da applicare.
Ogni legge che ponga un limite alla libertà della magistratura si pone dunque in una sfera di eccezionalità, che implica una verifica e un giudizio da parte della Corte Costituzionale.
Per quanto concerne la legge sulla violenza sessuale, tale giudizio in precedenza c'è stato (sentenza 265 del 2010) ed è a quello che la Cassazione fa riferimento nel trarre la sua discussa conclusione.
Leggiamo nella sentenza della Corte:
«(…) osserva, ancora, la Corte costituzionale (paragrafi 10 e 12) che la irragionevolezza della soluzione normativa» (della legge contro la violenza sessuale che prevede la detenzione ed esclude le misure alternative - cosa “costituzionalmente” approvata per i reati di mafia) «può essere agevolmente apprezzata ove si considerino» (due circostanze e cioè:) «la circostanza che i reati di violenza sessuale comprendano “condotte nettamente differenti quanto a modalità lesive del bene protetto e la circostanza che solitamente si tratta di delitti meramente individuali che possono essere affrontati in concreto anche con misure diverse dalla custodia in carcere” (…)».
Ora, lessicalmente, il che relativo si riferisce esclusivamente a DELITTI MERAMENTE INDIVIDUALI. Sono quelli dunque, i “meramente individuali”, “che possono essere affrontati in concreto anche con misure diverse dalla custodia in carcere”: non altri.
Sicuramente non sappiamo con certezza cosa avrebbe stabilito la Corte Costituzionale, se chiamata ad esprimersi esplicitamente anche sullo stupro di gruppo, in relazione al caso concreto in esame. Sicuramente i termini di custodia cautelare sarebbero scaduti accettando il richiesto ricorso al parere della Corte costituzionale, col risultato di dover rimettere in immediata libertà gli attuali imputati.
Vediamo allora cosa ha fatto la Cassazione nella sua sentenza.
Ha esteso le considerazioni della Consulta per il reato di stupro individuale a quello di stupro collettivo, benché allo stato attuale una lettura corretta proprio del dispositivo della Consulta, dalla Corte citato, allo stato attuale non lo possa consentire ipso facto.
NON SOLTANTO, infatti, quel "si tratta di delitti meramente individuali" porta a concludere che il non meramente individuale esuli immediatamente dalla possibilità delle misure alternative per il danno MULTIPLO che si ipotizza sia stato subito dalla persona, MA l’ipotizzata presenza di un gruppo attivo (che diventa accertata solo a conclusione di un processo) implica che si sia in presenza di soggetti in grado di agire delittuosamente operando collegamenti mirati e adottando condotte criminali unitarie, del tutto simili a quelle delle organizzazioni mafiose (per le quali l’eccezionalità del carcere preventivo è norma), sia pure su piccola scala. Gruppuscoli delinquenziali, nuclei sparsi e molteplici di uno sterminio morale e fisico di donne, tramite le violenze sessuali e il femminicidio.
Come spiegato dalla stessa Corte di Cassazione a seguito del divampare di polemiche - causate anche, ma non solo, da informazioni spesso distorte sulla sentenza in esame -, la Cassazione ha di fatto scelto il male minore, per evitare scarcerazioni altrimenti inevitabili. Non di una sentenza aberrante contro le donne si tratta, dunque, ma di una sentenza tarata strategicamente su un caso e tuttavia potenzialmente pericolosa per l’insieme delle donne.
L’accaduto rende di fatto eclatante un dato abitualmente sottostimato: la nostra società non è attrezzata, sia culturalmente sia giuridicamente, per affrontare un fenomeno gravissimo ed esteso quale quello delle violenze sulle donne - di tipo sessuale e non - che sempre più spesso sfociano nel femminicidio, ovvero nei DELITTI CONTRO UN GENERE.
Finché non avremo affrontato a fondo questo problema, questo marchio d’infamia di cui tutti gli Stati di Diritto Distratto si macchiano, non prevedendo un organico complesso di misure (preventivo-educative, preventivo-detentive e detentivo-punitive), una sentenza come l’attuale non potrà che esser letta - malgrado le intenzioni della Corte - come un aggravio delle condizioni precarie delle vittime, o presunte tali, e un contributo, sia pure involontario, a una percezione generale di minor gravità dello stupro di gruppo rispetto a quanto stabilito fin qui dalla legge, con conseguenze abbastanza deleterie sulla già alta diffusione del fenomeno e su possibili escamotage giudiziari che si avvalgano di tale sentenza in chiave difensiva di colpevoli.