lunedì 22 dicembre 2014

Grazie e auguri #iosostengoDUNA!

Ringraziamo tutte le persone che in questi giorni hanno sostenuto, sostengono e sosterranno il Centro Antiviolenza D.U.N.A.-Donne Unite Nell'Antiviolenza ed in particolare dopo la meravigliosa avventura del mercatino Beatrice's Christmas


A.r.pa. ringrazia di cuore  Il Socio che ci ha ospitate per l'aperitivo solidale e donato la macchina del caffè per il centro antiviolenza D.U.N.A., la Enemy 's Records e tutti i commercianti di Via Beatrice! 

Buone feste solidali a tutte e tutti!




mercoledì 17 dicembre 2014

IO SOSTENGO D.U.N.A. Aperitivo!! Sabato 20 ore 19 da Il Socio a Massa




Sempre nell'ambito delle iniziative a sostegno del Centro Antiviolenza D.U.N.A.- Donne Unite Nel'Antiviolenza- dopo il mercatino del sabato 20 faremo un Aperitivo di raccolta fondi  dalle ore 19.00 presso Il Socio (via Beatrice - Massa) che ringraziamo per la collaborazione!


Buone Feste solidali a tutte e tutti!

NOI SOSTENIAMO D.U.N.A.



giovedì 11 dicembre 2014

IO SOSTENGO D.U.N.A.! 14 , 20 e 21 dicembre 2014




Il Centro Antiviolenza D.U.N.A al Mercatino Beatrice's Christmas

Domenica 14, sabato 20 e domenica 21 dicembre dalle ore 14.00 fino alle 20.00 A.R.PA. sarà presente con uno stand del Centro Antiviolenza D.U.N.A.-Donne Unite Nell'Antiviolenza- all'iniziativa 

"Beatrice's Solidarity" organizzata dai commercianti di Via Beatrice a Massa. 


Veniteci a trovare per avere informazioni, conoscerci e 

sostenerci con un piccolo gesto di solidarietà!




Evento FB: IO SOSTENGO D.U.N.A.! 14, 20 e 21 dicembre 2014

venerdì 28 novembre 2014

#GiornalismoDifferente: una campagna per cambiare linguaggio

A.R.PA. aderisce alla campagna per cambiare il linguaggio sessista e retrogrado dell'informazione #giornalismodifferente lanciata da Narrazioni Differenti
E' tempo di pretendere Giornalismo Differente e noi lo sappiamo bene (leggi qui)
Questo il manifesto della campagna



Il giornalismo italiano sembra completamente sordo ai progressi della società in fatto di questione di genere e, infatti, continua a utilizzare un linguaggio, delle immagini e un immaginario retrogrado, violento e discriminante.
E’ tempo di pretendere un cambiamento.
E’ tempo di pretendere che il giornalismo italiano si metta al passo coi cambiamenti della società, della realtà, che rappresenti il meglio di questa e superi i retaggi della cultura patriarcale, maschilista e omo-transfobica.
E’ tempo di pretendere un Giornalismo Differente, perché del valore di informare rimanga anche quello di innovare.
giornalismo differente
La realtà dipende dalle sue rappresentazioni.
Di pari passo vanno le modifiche di una e delle altre, a specchio.
Ma se la realtà inizia a usare vocaboli, idee, immaginari che non trovano mai una rappresentazione massiccia, lo scollamento è inevitabile.
Solo da poco il giornalismo ha introdotto il termine femminicidio nel proprio vocabolario.
Un passaggio fondamentale per ripristinare una rappresentazione che rispondesse alla realtà: donne uccise in quanto donne.
Eppure a questo non è seguito un miglioramento complessivo del linguaggio o dell’approccio giornalistico al genere, soprattutto per quello che riguarda i giornalisti di cronaca –cronaca nera in particolare.
E’ tempo di suggerire quindi al giornalismo italiano, tutto, alcune semplici regole di linguaggio e approccio, che nel 2014 sarebbe proprio il caso di applicare.
Oggi è il 25 novembre, Giornata internazionale della lotta alla violenza sulle donne.
Abbiamo deciso di lanciare oggi questa campagna perché crediamo che il linguaggio mediatico comunichi la cultura che ci rispecchia,  consolidando la nostra visione del mondo e che, per questo, il giornalismo italiano debba cambiare, migliorare, evolvere.
Diffondiamo per questo un manifesto che speriamo incontri la vostra condivisione e un video per aiutare a rilevare alcune delle nostre principali rivendicazioni.
Chiediamo un Giornalismo Differente, lo facciamo lanciando un hashtag #giornalismodifferente e delle prime rivendicazioni:

1. Un femminicidio non è colpa della disoccupazione / della depressione / della passione.
La violenza sulle donne è sempre esistita, con o senza crisi economica.
Un uomo non picchia, umilia o uccide una donna perchè è rimasto disoccupato. Lo fa perchè la sua cultura lo autorizza a sentirsi superiore alle donne, a sentirsi padrone delle loro vite, a dominarle psicologicamente e fisicamente. Anche le donne rimangono disoccupate ed entrano in depressione, anche le donne, anzi soprattutto le donne, soffrono la crisi dentro e fuori casa, ma per un uomo queste diventano possibile “giustificazioni” ad un femminicidio, autorizzato invece dalla sua cultura patriarcale.
Quella stessa cultura che insegna alle donne a subire passivamente in nome dell’accoglienza e la mitezza  per cui è programmata.
Ecco tre esempi tratti da Corriere della Sera, AGI – agenzia giornalistica Italia, e Repubblica.it
disoccupato
agi
depressione
2. Non è il raptus che uccide!
Allo stesso modo, il raptus è un alibi che il giornalismo fornisce a chi uccide la propria compagna, moglie, fidanzata, amica.
La violenza sulle donne è un fenomeno strutturale. Ha radici profonde e non può essere ricondotta a un momento di violenza improvviso. Piuttosto, si tratta di anni di piccole avvisaglie, di atteggiamenti psicologicamente o fisicamente violenti, di affermazione di cultura maschilista, o spesso di stalking e intimidazioni che sfociano in maniera assolutamente premeditata nell’uccisione della donna che si è sottratta al possesso patriarcale.
In questo articolo ad esempio, Repubblica usa il termine raptus, per poi specificare però che i due avevano spesso litigi violenti.
raptus
3. No alle pornovittime!
Una donna rimane un oggetto sessuale anche da morta. Così non mancano gli esempi di vittime di femminicidio o di violenza sessuale, anche giovanissime –ritratte spesso dai giornali anche in bikini–, sottolineandone l’avvenenza.
Come se da quella dipendesse la sorte di una violenza, di un’aggressione.
Se poi la donna uccisa è una donna famosa anche per la sua avvenenza, non le si risparmiano gallery su gallery della sua immagineammiccante, anche da morta. Pensiamo ad esempio allo sciacallaggio mediatico su Reeva Steenkamp, la donna uccisa dal campione paraolimpico Pistorius.
Anche le foto di repertorio scelte dai giornali per parlare di violenza sessuale e femminicidio rimandano spesso a un immaginario sessualizzato: minigonne cortissime, calze autoreggenti, magliette scollate. E poi pose rannicchiate nel buio, mani sulla faccia. Come se la vergogna fosse la loro e non quella di chi le ha aggredite.
Porno + vittimizzazione, un pessimo risultato.
Le immagini che seguono sono alcune tra le più utilizzate dai giornali quando si parla di stupro, rintracciabili dai free press come Leggo fino a Il Messaggero.
pornovittima

pornovittima2

4. Cosa indossa una vittima di violenza? Chissenefrega!
Più chiare di così non si poteva essere. Ancora oggi spesso i giornalisti specificano oltre all’aspetto fisico anche l’abbigliamento di una vittima di violenza di genere. Perchè? A cosa serve dirci che indossava una minigonna? O che era bella? A nulla.
Perchè la violenza è trasversale e non colpisce solo donne avvenenti o vestite in modo succinto.
Anzi, perlopiù avviene dentro le mura domestiche, in famiglia, dove davvero nulla importa come si è vestite.
Se la vittima di una violenza sessuale di qualsiasi tipo è una donna avvenente si susseguono nell’articolo le sue immagini, persino in bikini, per attirare lettori, altrimenti si allude al suo aspetto e al suo abbigliamento, se si tratta di una sex worker, anche al suo lavoro ovviamente, nel quadro di un generale slut shaming, ovvero di una colpevolizzazione costante delle donne.
Così la notizia di una donna molestata sessualmente diventa “giustificata” da come quella, per di più ballerina di un night, andava vestita, nell’articolo di Treviso Today.
lap dance
5. Il capofamiglia non esiste più!
Il capofamiglia. Una parola usata molto spesso dal giornalismo italiano, ma che ci riporta indietro a quando l’Italia rispettava ancora la norma contenuta nell’art. 144 del Codice civile, che prevedeva il ruolo di capofamiglia e lo attribuiva al marito, abrogata poi dalla legge 19 maggio 1975, n. 151 con la Riforma del diritto di Famiglia.
Il capofamiglia non esiste più da 40 anni, ma il giornalismo italiano continua a usare questa espressione.
Come continua a usare la giustificazione dell’onore e della gelosia maschile per parlare di violenza, riportandoci a un’altra pietra miliare del nostro diritto, il delitto d’onore, abrogato solo nel 1981.
Questi retaggi maschilisti, seppur eliminati dal diritto ufficiale, persistono nel linguaggio giornalistico, tradendo la sostanziale adesione a un modello culturale da cui sarebbe anche tempo di affrancarsi.
Ancora Repubblica.it ci fornisce un esempio dell’uso improprio di “capofamiglia”, (in questo articolo) che viene usato per intendere l’uomo del nucleo familiare dove, tra l’altro, era invece la donna a provvedere al mantenimento della famiglia.
capofamiglia
6. unA transessuale, al femminile
Alla condizione femminile, non può non essere associato il trattamento linguistico-mediatico riservato anche a persone LGBTQI, soprattutto per quel che riguarda LE transessuali, relegate tanto alla macchietta che a cui i media le condannano da non meritare nemmeno l’articolo femminile.
Una piccolezza, risponderà il/la giornalista dalla sua scrivania.
Invece no. Perché il genere maschile e femminile non sono solo acquisizioni basate sul sesso biologico, ma anche faticose conquiste identitarie. E ciò va rispettato.
Il transessualismo indica l’esperienza vissuta da tutte quelle persone che non sentono di appartenere al sesso biologico acquisito con la nascita e che, quindi, intraprendono un percorso di adattamento del proprio fisico alla percezione psicologica ed emozionale che hanno di sé. Dunque se quella persona ha scelto di appartenere al sesso e al genere femminile,i media dovrebbero evitare di rimetterle addosso un’etichetta maschile ( e viceversa ), allo stesso modo in cui la società, tutta, dovrebbe acquisire la capacità di relazionarsi alle persone in base alle scelte che compiono e non ai ruoli precostituiti che si vogliono imporre loro.
Così, anche il Corriere della Sera, che è solo uno dei giornali indecisi sul genere da attribuire a persone transgender, in questo articolo sulla morte di Brenda, trans tristemente nota per il suo coinvolgimento nello “scandalo” Marrazzo, alterna il maschile al femminile.
brenda
7. Vogliamo parlare di donne vive ( e fuori dai ghetti rosa )?
Più in generale, il giornalismo tende a narrare e rappresentare le donne solo come vittime di violenza. Affollano le pagine dei quotidiani e le schermate dei pc tutte le donne stuprate, uccise, aggredite, sfgurate. Di donne forti, uscite dalle difficoltà, capaci di reagire o che propongono un immaginario differente da quello descritto finora non c’è quasi traccia.

COME ADERIRE A #GIORNALISMODIFFERENTE
Per aderire alla campagna inviateci la vostra adesione, singola o collettiva a narrazionidifferenti@gmail.com
Questo manifesto per il Giornalismo Differente, con tutte le sue adesioni, sarà inviato all’attenzione delle principali testate nazionali.
Diffondete l’hashtag #giornalismodifferente su Twitter unito alle nostre e alle vostre rivendicazioni, taggando le principali testate italiane.

#giornalismodifferente Un femminicidio non è colpa della disoccupazione!
                                Non è il raptus che uccide!
                                No alle pornovittime!
                                Cosa indossa una vittima di violenza? Chissenefrega!
                                Il capofamiglia non esiste più!
                                UnA trans, al femminile!
Fuori dai ghetti rosa!

Comunicato della Presidente della Commissione Regionale Pari Opportunità della Toscana


La Presidente della Commissione regionale Pari Opportunità della Toscana, Rossella Pettinati, ha inviato a noi e alla stampa regionale questo comunicato in solidarietà ai fatti accaduti alla nostra responsabile della comunicazione Centro Antiviolenza D.U.N.A., Francesca Rivieri, firmato anche dal Presidente della Commissione Donna per le Pari Opportunità del Comune di Carrara, Alessandro Bandoni. 

A.R.PA. ringraziando entrambe lo pubblica con grande piacere.

Pochi giorni fa una rivista on-line di Massa Carrara decide di intervistare la responsabile comunicazione del locale Centro Antiviolenza D.U.N.A, l’oggetto è “il linguaggio sessista nella pubblicità”. L’intervistata è la dott.ssa Francesca Rivieri, responsabile comunicazione e operatrice di Donne Unite nell'Antiviolenza di Massa ed è anche formatrice nelle scuole medie e superiori della Toscana.
L’intervista viene pubblicata con il seguente titolo: “Per Francesca Rivieri in Italia non esiste parità tra uomo e donna: che vada a fare una gita-premio nel califfato dell’Isis così si accorge della differenza…”.
Un titolo che non si comprenderebbe se non scorrendo il commento del direttore della rivista che chiude il pezzo.  In pratica una farneticazione tesa a mettere in ridicolo l’intervistata in relazione ai concetti  espressi, utilizzando un tono particolarmente aggressivo e violento. Più di tutto al direttore “brucia” che la dottoressa Rivieri abbia potuto adombrare l’opportunità che sul tema si possano, magari, fare attività di formazione rivolte proprio a coloro che la comunicazione la fanno, appunto i giornalisti.
“La dottoressa Francesca Rivieri accusa la società italiana di essere maschilista e sessista. Alla parola ministro preferisce minestra, pardon ministra e viene a predicarci come si deve fare informazione. Se lo faccia da sé, allora, un giornale”. Ed ancora  “E lei, adesso, pretende di venire ad insegnare a noi come si fa informazione corretta, addirittura organizzando corsi? Ma lasci perdere e lasci, soprattutto, fare il mestiere di giornalista a chi ha gli attributi per metterci sempre la faccia”… Per non citare che alcune perle!
L’atteggiamento del direttore in questione è sicuramente un caso isolato, almeno in quanto a violenza verbale. Un comportamento comunque che riteniamo debba essere condannato e per quanto possibile contrastato.
Mentre esprimiamo a Francesca tutta la nostra solidarietà, abbiamo ritenuto di segnalare l’accaduto all’ordine dei giornalisti cui il direttore è iscritto. Non ci pare si debbano far passare sotto silenzio comportamenti così scorretti e gravi.
Vogliamo rivolgerci a chi si occupa di informazione proprio perché i messaggi sono importanti. Il dominio culturale di media, spesso non attenti alla dignità delle donne, contribuisce pericolosamente a creare uno stereotipo di donna lontana dalla realtà, una immagine del femminile che, spacciata per spregiudicata e libera, offende il principio elementare del rispetto e nasconde la crescita professionale, civile e culturale delle donne. C’è qualcosa che non va nello scarto che avvertiamo tra il valore di milioni di donne italiane e la “credibilità” di un paese che esprime tanta arretratezza in materia di rispetto dei diritti della persona.
Un’informazione corretta e responsabile può contribuire a formare una coscienza civile e una cultura dove prevalga il rispetto reciproco, la consapevolezza che al fondo della violenza contro le donne c’è sempre un modello di rapporto che presuppone la prevaricazione di uno nei confronti dell’altra.
Insomma l’esatto contrario di quello che, di fatto, è contenuto nel commento all’intervista e nel titolo del pezzo.
In questi giorni sono numerose le iniziative di enti e associazioni per ricordare la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Il nostro paese ha da poco ratificato la convenzione di Istanbul, approvato una legge, la 119/2013, che introduce importanti novità di carattere giuridico e stanzia fondi a sostegno dei centri antiviolenza. La legge inoltre rimanda ad un piano straordinario d’intervento, ad oggi non approvato, un complesso di azioni di prevenzione e contrasto, tra queste le azioni formative, rivolte a diversi soggetti (forze di polizia, personale sanitario, strutture giuridiche), assumono un particolare valore.
Tra marzo ed aprile 2015 il centro D.U.N.A terrà a Massa alcuni workshop finalizzati ad abbattere e riconoscere gli stereotipi sessisti nella comunicazione e nell’informazione. L’iniziativa è aperta a tutti, ed è auspicabile che vi  partecipino anche operatori dell’informazione locale.
Ancora più rilevante sarebbe che fossero gli stessi organismi di governo della categoria a farsi promotori di simili iniziative. Perché no? Perché non prevedere davvero nell’ambito delle iniziative di aggiornamento della categoria momenti di approfondimento sul tema, non solo per capire che Ministra è esattamente corretto come Ministro, ma soprattutto per chiedersi se quando si scrive di donne non si stia scivolando, magari in buona fede, nel più banale  e diffuso stereotipo, e per evitare di raccontare le storie di violenza come storie di “amore malato” o ancora come una questione che riguarda “solo le donne”.
Noi riteniamo ce ne sia estremo bisogno. Sarebbe un buon modo per celebrare questo 25 novembre.
Rossella Pettinati 
PRESIDENTE COMMISSIONE PARI OPPORTUNITÀ della Regione Toscana
Alessandro Bandoni
PRESIDENTE COMMISSIONE DONNA PER LE PARI OPPORTUNITÀ del Comune di Carrara
Rassegna stampa:


martedì 25 novembre 2014

#25Novembre per noi è ogni singolo giorno dell'anno





Massa, 25 novembre 2014 - In occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, l'Associazione A.R.PA.-Associazione Raggiungimento Parità, vuole sottolineare l'importanza del suo lavoro svolto al  Centro Antiviolenza D.U.N.A.-Donne Unite Nell'Antiviolenza.

Perchè per noi il 25 Novembre è ogni singolo giorno dell'anno? Facciamo mediamente due colloqui al giorno, abbiamo ricevuto al numero H24 137 telefonate ed oggi abbiamo in carico 53 donne provenienti da tutto il territorio provinciale ed extra provinciale, a cui prestiamo in maniera del tutto volontaria i seguenti servizi gratuiti: AccoglienzaAscolto telefonico h 24Colloqui su appuntamentoSostegno nel percorso di fuoriuscita dalla violenzaAssistenza legaleConsulenza legale: civile, penale, minorileConsulenza psicologicaGruppi CAM (Conoscersi Attraverso il Movimento)- Metodo FeldenkraisGruppi di auto-mutuo aiutoMediazione linguisticaSportello antistalking. Facciamo inoltre attività di prevenzione e sensibilizzazione, orientamento e accompagnamento al lavoro, attività di rete, raccolta ed elaborazione dati, raccolta di materiale in tema di violenza, raccolta abiti usati per donne e minori di tutte le età. Lavoriamo in sinergia con Forze dell'Ordine, assistenza sociale, pronto soccorso, scuole e ad anno nuovo faremo ingresso formale nella rete regionale dei Centri Antiviolenza TOSCA con cui già collaboriamo attivamente.

Perchè è fondamentale il lavoro del Centro Antiviolenza D.U.N.A.?
Il Centro assicura protezione e sicurezza, empowerment e cambiamento sociale. È un luogo di donne per le donne perché una donna che ha subito una violenza da un uomo, nel momento in cui chiede aiuto, interpella nell’altra una rappresentazione di se stessa. Il concetto di violenza contro le donne ha a che fare con le relazioni di coppia, con le rappresentazioni sociali dei rapporti di genere e con la disparità di potere tra uomini e donne. Quindi affrontare il problema della violenza sulle donne diventa legittimo solo in un contesto che mette in discussione e parte dalla subordinazione, sociale e culturale, all’uomo.
L’intervento è di carattere relazionale o psico-sociale, non terapeutico in senso tecnico e consiste in un percorso di colloqui a cadenza periodica e di durata variabile, finalizzato al raggiungimento di obiettivi stabiliti con la donna, secondo tappe concordate. Ci si basa sul rafforzamento (empowerment) dell'identità della donna, fondamentale per autodeterminarsi, e sulla relazione tra donne che noi preferiamo chiamare „sopravvissute“ e non „vittime“. Per questo ci si avvale di personale esclusivamente femminile e specializzato sul tema. È solo attraverso la relazione fra donne che si può innescare un processo virtuoso di reciproco riconoscimento e sostegno. Alle donne non vengono offerte soluzioni precostituite, ma un sostegno specifico e informazioni adeguate, affinché possano trovare la soluzione adatta a sé e alla propria situazione così da poter costruire autonomamente il proprio percorso di uscita dalla violenza. Fondamentali sono i servizi di reperibilità H24 e la seria valutazione del rischio attuata attraverso strumenti riconosciuti a livello europeo.
Qual'è la tipologia di violenza che più colpisce queste donne? La violenza domestica è la forma di violenza più diffusa, gli atti sono per la maggior parte dei casi gravi, una parte delle donne, prima di rivolgersi al centro D.U.N.A., non considerava la violenza domestica un reato e alcune lo accettavano come un fatto comune. È quindi piuttosto facile capire come la violenza nella sfera privata rimanga spesso in gran parte invisibile e sotto denunciata.
Tipologie di violenza:
  • psicologica – 24
  • fisica – 27
  • economica – 14
  • sessuale – 6
  • stalking- 14
  • altro – 10
Da considerare che diverse donne subiscono contemporaneamente più di una tipologia di violenza.

Chi sono le donne che si rivolgono al centro? Nel 97% dei casi si tratta di donne che hanno subito violenza in famiglia dal proprio partner o ex, e sono donne che hanno subito violenza fisica, psicologica, economica, sessuale e/o stalking. Provengono da tutte le classi sociali e con differenti livelli di istruzione molte non hanno lavoro, mentre altre lo avevano ma sono state costrette a lasciarlo perché il proprio partner non permetteva loro di andarci. Tuttavia c’è da chiarire una volta per tutte che anche l’indipendenza economica delle donne non costituisce una garanzia di libertà dalla violenza, vi sono meccanismi psicologici e culturali complessi per cui una donna rimane con il partner violento.

Chi è il maltrattante? Il maltrattante è un uomo normale, con una vita sociale e relazionale normale, nel 99% dei casi con un lavoro. L’uomo violento per sfuggire alle proprie responsabilità e mantenere il controllo sulla donna, tenta con qualunque mezzo di favorire il suo silenzio ma se non riesce ad ottenerlo attacca la credibilità della stessa: è pazza, non è vero, si è inventata tutto, mi vuole rovinare perché le ho detto che non la amo più, e simili.

Chi sono le operatrici del Centro D.U.N.A.? Abbiamo 27 figure professionali esperte in accoglienza, ascolto telefonico, assistenza legale e tutela minori, ascolto e approccio socio-culturale di genere, antropologia di genere, politiche del lavoro e valutazione delle competenze, counselor, psicologhe, psicoterapeute, educatrici e pedagogiste, esperta in fisioterapia, esperte in comunicazione di genere, progettazione e mediatrici interculturali e linguistiche.

Quali le attività di prevenzione e formazione? Svolgiamo da anni attività di formazione nelle scuole del territorio e abbiamo vinto per il secondo anno consecutivo, il bando regionale di cui all’articolo 6 della l.r. 16/2009 (Cittadinanza di genere), con il progetto G.eA.- Genere E Antiviolenza, con cui daremo continuità al percorso intrapreso con il laboratorio antiviolenza M.E.L.A. Il corso inizierà a fine gennaio e realizzeremo interventi formativi di secondo livello per rafforzare le competenze delle operatrici, formarne di nuove e grazie a quattro workshop tematici che coinvolgeranno tutta la cittadinanza , vogliamo diffondere una cultura di genere, antisessista, antidiscriminatoria e della non violenza, perché tutte e tutti possano essere messi nella condizione di accrescere le proprie conoscenze e superare barriere mentali imposte da una cultura distorta.

mercoledì 19 novembre 2014

Una giornata di riflessioni su PAROLE TOSSICHE e dintorni


Oggi siamo intervenute al convegno PAROLE TOSSICHE organizzato dalla Rete di Donne per la Politica di Genova.

Ringraziamo la giornalista Monica Lanfranco e le donne della Rete di Genova per la bellissima opportunità che ci hanno dato e soprattutto per l'aver organizzato un convegno dove sono state analizzate cronache di ordinario sessismo e messe in luce le resistenze tutte culturali all'uso corretto della lingua italiana.

Vi confermiamo, state serene e sereni, che le forme femminili di termini come MINISTRA, AVVOCATA, PREFETTA e tanti altri sono corretti e non è che si possono, ma si devono usare. Quello che manca è l'abitudine al sentirli, nonostante ci si sia abituate/i ben presto a neologismi (come cyberbullismo, bannare, ecc.) che quanto a stranezza o bruttezza non scherzano!
Ma si sa che quando si deve discutere sul riconoscimento delle donne e delle loro professionalità ci si trova davanti ad un'enorme problematica che nasce dalla cultura maschilista in cui siamo tutte e tutti immerse/i e per farvela breve vi cito le parole della docente e linguista Cecilia Robustelli:
"Alla donna non è ancora riconosciuta la piena possibilità di esercitare professioni di prestigio fino a ieri riservate agli uomini: finchè si tratta di fare la cassiera o la cameriera, va bene...ma quando si punta più in alto la situazione cambia. Quindi, ancora oggi, si permette alle donne di svolgere la professione di chirurgo, avvocato, ingegnere, ma in un certo senso non lo si dice. Si tace il fatto. Non si nomina. E il non nominare significa non riconoscere l'esistenza di qualcosa..." (da Lingua e identità di genere, in Saperi e Libertà a cura di Ethel Serravalle)

La giornalista Monica Lanfranco ha poi realizzato queste due interviste su www.radiodelledonne.org nell'ambito dell'evento:

 a Graziella Priulla http://www.radiodelledonne.org/…/parole-tossiche-2-un-conv…/ 

e alla nostra Francesca Rivieri http://www.radiodelledonne.org/…/parole-tossiche-1-un-conv…/


Al convegno sono intervenute: 

Lorena Rambaudi, Assessora Regionale alle Pari Opportunità 

Rita Falaschi, Rete di Donne per la Politica 

Presentazione della Guida “Donne, grammatica e media” di Cecilia Robustelli edito da GiULiA 

M. Teresa Manuelli, Segretaria Nazionale di GiULiA e curatrice della guida. 

 TAVOLA ROTONDA - Presiede Monica Lanfranco, Direttora Rivista Marea

Francesca Rivieri Esperta di comunicazione Centro Antiviolenza D.U.N.A. Massa Carrara

Donatella Alfonso, La Repubblica e Coordinatrice nazionale Commissione P.O. della  FNSI 

Licia Casali, Segretaria dell’Ordine dei Giornalisti Liguri

Alessandra Costante, Segretaria dell’Associazione Ligure dei Giornalisti 

Laura Guglielmi, Direttora di Mentelocale 

Eliana Miraglia, Rai-TGR Liguria. 

Nicola Stella, Il Secolo XIX 

Matteo Cantile, Telenord; Enzo Costa, La Repubblica; Matteo Indice, Il Secolo XIX