A mio rischio e pericolo, torno sul discorso della maternità. Perchè vorrei sottolineare un luogo comune: a parole, tutte sosteniamo che ogni madre è diversa e non esiste un modello unico. Nei fatti, è molto facile che ognuno proponga come corretta solo la propria esperienza. La maternità c’est moi.
Fin qui, ci sta. Ci sta molto meno quando il discorso diviene pubblico. Grazie a Paola, mi capita fra le mani una lettera pubblicata su Genitorichannel. Lettera di una dottoressa che, furente contro “Tata Lucia” per i motivi che leggerete, afferma fra l’altro:
“Se poi guardiamo fra gli adulti di oggi cresciuti secondo le opinioni (perché di questo si tratta) di TATA LUCIA cioè a “basso contatto”, scopriamo che nella nostra società le patologie affettive sono dilaganti, il consumo di psicofarmaci è fuori misura, le dipendenze da alcool, gioco d’azzardo, cibo ecc…, dimostrano come un’educazione dei bambini a basso contatto possa mettere a rischio il loro sviluppo affettivo”.
Alla faccia della libertà di scelta. O segui alcuni dettami, o tuo figlio diventerà un alcolista impasticcato, bulimico e schiavo del poker.
La risposta di Paola Banovaz, sul suo blog, e soprattutto i commenti che seguono, dimostrano, a mio parere, una cosa: che c’è un disperato bisogno di qualcuno che dica alle madri “come si fa”, si tratti della dottoressa o della tata. Ne avevo già parlato, in Ancora dalla parte della bambine: la solitudine della madri, l’insicurezza delle madri (dovuta a tanti fattori: sociali e culturali) sono “il” problema. L’altro, ma qui entriamo ancora in un altro terreno, è la tensione di dover crescere il Figlio Messia. Che sia perfetto. Che non sia turbato da nulla. Che abbia i migliori strumenti disponibili per avanzare nel mondo.
D’accordo, le madri perfette non esistono (a parole). Ma esistono i figli imperfetti, e non per questo meno amati. Credo che occorra accettare, soprattutto, questo: madri, e padri.
Fonte: Lipperatura